Facciamo un po’ di ordine. Nel 1998, a soli quattordici anni, Scarlett Johansson si fa notare ne L’uomo che sussurava ai cavalli, per poi essere protagonista, tre anni dopo, di Ghost World e L’uomo che non c’era. Il buzz inizia a farsi sentire, ma in realtà la Johansson ha ruoli poco importanti o comunque da comprimaria.

Poi, nel 2003, arriva la consacrazione con Lost in Translation. Se già il film di per sé è stato decisamente sopravvalutato, la prova della Johansson suscitò pareri deliranti, aiutata molto in realtà dalla performance notevolissima di Bill Murray. E poi? Forse sarebbe meglio dimenticare il poi. E non perché (come capita spesso agli interpreti emergenti) i film fatti siano orripilanti, ma proprio per le prestazioni mediocri della Johansson, che spesso erano la cosa peggiore del film. In Good Company è una pellicola deliziosa, ma l’attrice riesce a fornire una prova scialbissima e non d...