Il problema di parlare di Strade perdute, ancora oggi a 26 anni dalla sua uscita, è che si finisce inevitabilmente per provare a spiegarlo, nonostante David Lynch sia il primo a dire che non ce n’è bisogno, che il suo film è aperto a ogni interpretazione e che non esiste una lettura univoca e “ufficiale” degli eventi che coinvolgono Fred e Peter, Renee e Alice, l’Uomo Misterioso e un tizio che fa i pesi nella stanza di fianco. Si finisce per usare espressioni tipo “nastro di Moebius” e “fuga dissociativa”, per ragionare su dettagli apparentemente insignificanti ma che in piena tradizione lynchana potrebbero nascondere verità essenziali se visti sotto la giusta luce, e quindi, nell’ansia di trovarle una logica, si finisce anche per non godersi l’esperienza in quanto tale.

La prima cosa che vogliamo dirvi sul ritorno al cinema, in versione restaurata e 4K, di Strade perdute è quindi questa: non pensateci troppo. Soprattutto non pensateci mentre lo guardate, e lasciatevi trascinare da quello che state vedendo (e sentendo): stiamo parlando di quello che probabilmente è il film più spaventoso di David Lynch, e anche il più sensuale – che non è poco, considerando che Lynch è uno dei migliori al mondo quando si tratta di mettere in scena il sesso e l’erotismo. È più destrutturato e disorientante di Mulholland Drive, meno puzzle da risolvere e più esperienza; ma è anche più accessibile di INLAND EMPIRE, ancora oggi (e nonostante Twin Peaks 3) il vero mattone lynchano definitivo. C’è dentro tanto del vecchio Lynch ma c’è anche già tutto quello che si troverà nel nuovo, quello post-Mulholland Drive appunto, quello che è diventato famoso perché “fa i film che non si capiscono”.

Rosanna

La seconda cosa sulla quale vogliamo rassicurarvi, quindi, è che Strade perdute si capisce. Confonde, ovviamente, perché è la sua missione, ma come tutti gli enigmi lynchani ha le sue regole, che in questo caso tra l’altro vengono esplicitate fin dall’inizio e non affidate a fonti esterne. La prima arriva dal primo dialogo tra uno dei protagonisti, Fred Madison, e un uomo misterioso chiamato coerentemente L’Uomo Misterioso. I due si incontrano a una festa e il secondo si presenta sostenendo che i due si siano già incontrati in precedenza, proprio a casa di Fred. Noi spettatori sappiamo che è almeno parzialmente vero: abbiamo visto la sua faccia in un’allucinazione, sovrapposta a quella della moglie Renee (Patricia Arquette, che accettò il ruolo felicissima di poter finalmente interpretare una femme fatale sessualmente desiderabile). Fred però nega, perché non se lo ricorda. La prima regola è quindi che Strade perdute è un film dal quale ci si può aspettare di tutto – compreso il fatto che un uomo misterioso chiamato Uomo Misterioso possa essere contemporaneamente a una festa e a casa di Fred.

Una volta accettato questo, e accettato quindi che la logica del film è parecchio labile e persino (gasp!) onirica, la seconda regola viene di conseguenza, ed è legata alla frase che nel paragrafo precedente era in corsivo. Fred e Renee ricevono da giorni misteriose videocassette con filmati girati in casa loro, mentre stanno dormendo. Chiamano la polizia, e uno dei due detective chiede a Fred se abbiano per caso una telecamera in casa. No, risponde la moglie, perché Fred odia le telecamere: “A me piace ricordare le cose come le ricordo io”, anche se in realtà sono andate diversamente. Ecco la seconda regola: tutto quello che vediamo in Strade perdute potrebbe non essere andato come lo vediamo, e l’unica verità è quella che è stata filmata e impressa su pellicola. È grazie alle videocassette, per esempio, che scopriamo quella cosa che non scriveremo perché assumiamo che ci sia gente che non ha mai visto il film ed è qui a leggere per convincersi ad andare al cinema.

Uomo misterioso

Niente è come sembra, quindi, tranne quello che viene filmato (le videocassette a casa Madison, ma anche i porno). Sono due regole che tradiscono un po’ l’età del film, e che lo fanno sembrare ingenuo in quest’epoca di deep fake e programmi di editing a portata di chiunque, ma il nostro consiglio è di non fermarvi alla lettera della questione e a vedere piuttosto Strade perdute come un film sull’identità, sulla divisione tra Io, Super-io ed Es, su quanto la realtà sia influenzata da come la vediamo ma anche su quanto sia difficile, se non impossibile, tenere in piedi sul lungo periodo un edificio del genere: la verità arriverà prima o poi, e non vi renderà certo liberi.

Da più parti Strade perdute è stato indicato come un noir, o un neo-noir, e non c’è dubbio che, come e anche più di Mulholland Drive, il film contenga una gran quantità di archetipi del genere, a tratti stirati fino a diventare quasi una parodia: il sassofonista in crisi con la moglie bella e distante, il giovane ingenuo sedotto dalla femme fatale e che finisce quindi nel mirino di un gangster, la coppia di giovani amanti che commette crimini con il sogno di poter fuggire e rifarsi una vita. Le strade (perdute) di notte, illuminate dai lampioni, i localacci, sesso e morte che vanno a braccetto: l’impronta è chiara, ma Lynch la piega ai suoi desideri, intride di psicanalisi anche la scena di un gangster che massacra di botte un innocente, usa il genere per raccontarci le sue visioni e quindi se e quando serve se ne allontana, lo prende anche in giro. È un manifesto dell’idea di cinema di David Lynch ancora più efficace di quanto lo fosse stato Fuoco cammina con me cinque anni prima, che rielabora sia Eraserhead sia Cuore selvaggio e lo fa in maniera, appunto, selvaggia, con molto meno autocontrollo di quello che l’autore dimostrerà quattro anni dopo in Mulholland Drive.

Strade perdute Renalice

Dopodiché, Lynch è anche un furbastro e lo è (quasi) sempre stato [da qui in avanti troverete qualche minuscolo SPOILER]. L’idea, per esempio, di chiudere il film come si apriva è un classico gancio che invita alle speculazioni e alla formulazione di teorie intricate ma soprattutto coerenti – esattamente quello che Strade perdute non è. È un film che ha l’aria di un grande gioco, una caccia agli indizi che permettano alla fine di dare un senso a tutti gli eventi. Lynch lo sa e se ne frega, rifiutandosi pervicacemente di spiegare qualsivoglia dettaglio in maniera definitiva. Per cui se volete potete aggrapparvi alla speranza che tutto abbia senso, che ci sia una corrispondenza 1:1 tra tutti gli elementi della trama, anche quelli più apparentemente senza senso. In fondo  Mulholland Drive funzionava così, essendo in ultima analisi la storia di una fantasia nella quale una persona si rifugia per sfuggire dalla grigia realtà.

Strade perdute no, e bisogna mettersi il cuore in pace. Non è La settimana enigmistica sotto acidi, è solo gli acidi. È un viaggio allucinante, angosciante e a tratti arrapante nei meandri delle cose che ci raccontiamo pur di non guardare in faccia la realtà. Un film che si racconta con la non-logica dei sogni, perché forse, chi lo sa, potrebbe davvero essere un sogno. Non provate a capirlo come si capiscono le cose oggi, nell’epoca della proliferazione di pezzi tipo “Il finale di Strade perdute, spiegato bene”. Godetevelo e basta. Poi, alla fine, sui titoli di coda, potrete cominciare a farvi domande, se volete. Scommettiamo che non ne sentirete il bisogno?

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