Dopo aver raggiunto quasi i 277 milioni di dollari in tutto il mondo dalla sua uscita lo scorso 11 novembre, Suzume (titolo originale “Suzume no tojimari”, “Le porte chiuse di Suzume”) uscirà nelle sale italiane il 27 aprile.

Presentato in concorso alla scorsa Berlinale (non accadeva dal 2002 con La città incantata di Hayao Miyazaki che un’anime partecipasse a un festival così prestigioso), il film scritto e diretto da Makoto Shinkai sarà distribuito dalla Warner Bros. nel nostro paese.

Noi di Badtaste.it abbiamo partecipato alla premiere mondiale della versione doppiata in inglese che si è tenuta lo scorso 3 aprile presso il Museo dell’Academy di Los Angeles. All’evento ha partecipato anche il regista Makoto Shinkai, amato in tutto il mondo per anime di successo come Your Name (2016) e Weathering With You – La ragazza del tempo (2019).

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Mr Shinkai, com’è nata la storia di Suzume?

Dodici anni fa ci fu un forte terremoto nella parte orientale del Giappone, nella regione di Tohoku. Dopo il terremoto, un enorme tsunami colpì la costa e tutte le città della zona furono spazzate via. A ciò ha fatto seguito la centrale nucleare di Fukushima, che ha subito una fusione e ha di fatto allontanato molte persone dalle loro case. Quindi, 12 anni fa, c’erano molte persone o bambini come Suzume. Alcuni degli scenari che si vedono nel film si ispirano a scene realmente avvenute nella zona di Fukushima e Tohoku.

Può farci qualche esempio?

Nella scena finale, la città è in fiamme e questa era un’immagine molto reale che si è verificata all’epoca, dopo che lo tsunami ha spazzato via tutto. C’erano auto, serbatoi di gas e tubature che saltavano in aria mentre la città era in fiamme. Quindi, anche dopo 12 anni, ho immaginato che nella mente di Suzume la città che lei ricorda stesse ancora bruciando, ed è per questo che ha visto proprio quello scenario. C’erano anche delle immagini bizzarre di navi in cima agli edifici, ispirate a immagini reali perché, dopo lo tsunami, il livello del mare era così alto da far finire le navi in cima agli edifici.

Come descriverebbe l’atmosfera generale del film?

Questo film affronta un tema molto pesante e quasi deprimente, ma non volevo trasformarlo in qualcosa di negativo, per questo ho voluto inserire momenti divertenti e di gioia. E questo perché credo, nel profondo del mio cuore, che non importa quante tragedie o disastri ci siano, chiunque abbia il coraggio di ridere e di avere una visione positiva può aggrapparsi alla speranza, proprio come Suzume e Sota che non si arrendono.

Come è nata l’idea della sedia?

Il design della sedia in sé è stato mio io. Quando ero molto piccolo, mio padre mi fece una sedia molto simile a quella del film; era una sedia molto semplice. Non so perché mi fece sentire così, ma era quasi come se mi avesse concesso una stanza o uno spazio tutto mio. Quindi, come manufatto dei ricordi di Suzume, ho pensato che una sedia fosse l’oggetto perfetto.

C’è un motivo particolare per cui ha tre gambe?

Sì. Non è descritto nel film, ma immagino che presumibilmente durante lo tsunami, quando tutto è stato spazzato via, anche la sedia abbia perso una delle sue gambe. Ma soprattutto penso che sia anche una metafora simbolica di come la mente e l’anima di Suzume abbiano subito una grande perdita. Il trauma di Suzume per aver perso la madre in giovane età ed essere stata circondata dalla morte è rappresentativo della sua grande perdita. Quando Sota viene messo nella sedia, nonostante abbia solo tre gambe e nonostante Suzume porti questo grande fardello, entrambi riescono a superare e ad affrontare il viaggio.

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Può parlare della sua decisione di giocare con l’idea di far parlare Suzume con una versione passata di sé stessa, la sua bambina interiore, la sua versione traumatizzata?

Sullo schermo può sembrare un’ambientazione molto fantastica, ma credo che parlare con una versione passata di noi stessi sia qualcosa che facciamo ogni giorno. Forse vi è successo qualcosa di molto brutto a scuola e potete immaginarvi da adulti mentre ricordate quell’evento e vi dite: “Sono sicuro che è stata molto dura allora, ma le cose sono migliorate crescendo”. È una cosa che faccio anch’io quando rievoco certi ricordi. Al contrario, forse la vostra situazione attuale non è proprio ideale. Sono sicuro che molti di voi si diranno: “Ehi, le cose miglioreranno in futuro”. Quindi credo che noi nel presente parliamo costantemente con il nostro io passato attraverso i ricordi per rincuorarci e superare le situazioni difficili che ci possono capitare nella vita. Così ho rappresentato quella scena come un mezzo per aiutarci a superare queste situazioni molto difficili.

Nel suo film, lei usa molto la rappresentazione visiva. Come è arrivato alla conclusione che la distruzione avrebbe assunto quella specifica forma?

Il Giappone è una regione del mondo molto soggetta a terremoti. Per questo gli antichi giapponesi immaginavano che ci fosse una specie di creatura gigantesca sotto le isole del Giappone. A seconda dell’epoca, ha assunto la forma di un pesce-gatto gigante o, se si va ancora più indietro nel tempo, di un drago molto sottile che attraversa l’intera isola del Giappone. Ho scelto un verme perché credo che il verme o il lombrico siano quasi come la terra stessa: mangiano la terra e la sputano.

Che cosa simboleggia per lei?

Una forza della natura. Sono stato molto attento nel raffigurare questo verme, perché non apparisse troppo simile a un mostro o a una creatura. Non volevo che assomigliasse a Godzilla. E questo perché in questo caso il terremoto non agisce con alcun tipo di logica o ragione. Quindi, se fosse stato rappresentato come una figura troppo simile a una creatura, avrebbe implicato una sorta di intelligenza, invece di essere solo acqua, fumo o un’eruzione. Come ogni altra forza della natura.

Ha preso alcuni elementi dallo shintoismo. Qual è il suo rapporto con la religione?

Spesso nei miei film ci sono motivi legati allo shintoismo o al buddismo. Questo perché i concetti dello shintoismo e del buddismo sono profondamente radicate nella cultura e nei rituali giapponesi. Quando un giapponese passa davanti al cancello di un santuario Torii, mette le mani conserte e fa una sorta di preghiera. Durante il festival Obon, che si svolge in estate, crediamo che gli spiriti dei morti arrivino dall’aldilà. È l’unico giorno dell’anno in cui possono venire a interfacciarsi con le persone nel regno dei vivi. Questi rituali radicati nella nostra vita quotidiana aiutano a collegare l’immaginazione al mondo della fantasia. Così, se accade qualcosa di strano o bizzarro, per estensione di questo tipo di rituali, non è troppo innaturale e aiuta a colmare il divario tra il nostro regno e l’immaginazione della fantasia.

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Qualche esempio?

Per esempio, il lavoro di Sota, che è quello di chiudere le porte, non è un vero lavoro. L’atto di viaggiare attraverso il Giappone chiudendo diverse porte è una metafora del suo forte desiderio di non far accadere un disastro.

Ha sperimentato altri esempi di amore che ha preso dalla sua vita e che ha inserito in questo film?

Sembrerà un cliché, ma quando è avvenuto il terremoto del Giappone orientale nel 2011, ho sentito davvero che l’amore e la passione che le persone hanno l’una per l’altra ci avrebbero salvato. E per estensione, credo che questo si traduca davvero nel potere dell’immaginazione che si ha vivendo in Giappone, dove il disastro può colpire in qualsiasi momento. Ho provato a immaginare se fossi stato io nella regione di Tohoku e questo mi ha aiutato a estendere un certo livello di empatia agli altri intorno a me. Quindi, vivendo a Tokyo, quando il terremoto ha colpito la regione di Tohoku, una piccola parte di me ha sicuramente provato un senso di sollievo. Ma, allo stesso modo, mi ha anche fatto sentire molto nervoso e ansioso perché avremmo potuto essere noi o, al contrario, forse Tokyo poteva essere il prossimo luogo in cui ci sarebbe stato un terremoto. Ho pensato molto intensamente al tipo di vita che avrei potuto vivere se avessi vissuto nell’area di Tohoku, e alla fine questa è stata l’ispirazione per il mio film Your Name (2016), in cui un ragazzo di Tokyo e una ragazza che vive nella campagna giapponese si scambiano i corpi.

Come ha fatto a trasmettere i sentimenti di perdita e distruzione non essendo stato vittima in prima persona del terremoto?

Ho dovuto immaginare e cercare di mettermi nei panni di Suzume, appunto perché sto raccontando una storia che non ho vissuto in prima persona. Quindi ho immaginato a come avrei reagito se mi fossi trovata in quella situazione, come avrebbe reagito Suzume attraverso di me come personaggio. Credo che la capacità di immedesimarsi e di mettersi nei panni di qualcun altro sia davvero all’origine di tutte le diverse forme d’amore.

Ha temuto la reazione del pubblico giapponese che ha vissuto il terremoto?

Per molto tempo mi sono chiesto se fosse appropriato che questo film venisse realizzato e distribuito nelle sale giapponesi, dato l’argomento che tratta. Ma ho pensato che dopo 12 anni dal terremoto c’era un’intera generazione che era troppo giovane per capire cosa stesse accadendo o che non era nemmeno nata quando il disastro ha colpito. Quindi ho pensato che fosse molto importante raccontare la storia e inserirla in un contesto di intrattenimento. Ho avuto diverse riunioni con i membri del mio team interno e con lo studio cinematografico. E alla fine abbiamo deciso di andare avanti con il film.

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Una volta ottenuto il via libera per un film d’animazione, quali sono le fasi successive?

Quando decidiamo di fare un film, la prima cosa che dobbiamo fare è scrivere la sceneggiatura. Una volta completata la sceneggiatura, la fase successiva dell’animazione è lo storyboard. Ho impiegato circa un anno e tre mesi per realizzare lo storyboard di questo film. Poiché Suzume è un film di due ore, dopo aver elaborato lo storyboard di tutte le scene, ho creato una timeline e ho iniziato a inserire le scene in quello che chiamo video-storyboard. Naturalmente ho bisogno di una traccia audio che lo accompagni per assicurarmi che i tempi siano giusti, quindi ho interpretato le voci di tutti i ruoli, Sota, Suzume, tutti…

Quanto tempo ha impiegato per scrivere la sceneggiatura di Suzume?

Ho impiegato circa sei mesi per scrivere la sceneggiatura di questo film. Per quanto ne so, a Hollywood spesso ci vogliono più di sei mesi per scrivere un film. Sono sicuro che alcuni di voi conoscono l’adattamento live-action del film Your Name, attualmente in fase di sviluppo. Sono cinque anni che aspetto sul filo del rasoio. E non ho ancora una sceneggiatura. A parte gli scherzi, però, sono davvero entusiasta e non vedo l’ora di vedere come Hollywood adatterà questa storia in un’interpretazione live-action.

Come si è evoluto il settore dell’animazione nel corso della sua carriera?

Ho iniziato la mia carriera alla Nihon Falcom nel 1996, una società di videogiochi. Mentre lavoravo lì, ho avuto l’insaziabile desiderio di raccontare la mia storia. Così la mia prima animazione è stata completamente autoprodotta e questo mi ha portato al punto in cui mi trovo oggi. Forse la pandemia è stato un evento che ha completamente stravolto l’intero settore. Credo che in parte ciò sia dovuto al fatto che durante la pandemia, essendo tutti chiusi in casa, cercavamo qualche tipo di contenuto da consumare. L’accessibilità degli anime è cresciuta esponenzialmente solo in quei pochi anni. Credo che l’industria e il pubblico nel suo complesso siano diventati più aperti nei confronti dello stile di espressione visiva degli anime e fortunatamente Suzume arriva nelle sale in un momento in cui credo che l’intero fandom degli anime sia preparato. Spero che questa sia una buona occasione per molte persone per decidere di andare al cinema a vedere Suzume e riaffermare il loro amore e la loro passione verso gli anime.

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