Questo articolo fa parte della rubrica Rivisti oggi

Dentro di te vivono due lupi: uno è convinto che Tropic Thunder sia un film geniale, l’altro che si tratti di una satira che va troppo oltre e diventa offensiva e violenta verso i bersagli sbagliati. Ha ragione il primo lupo, il problema è che il secondo è quello che viene ascoltato più spesso perché il film di Ben Stiller è prima di tutto un’opera autoriferita, fatta da Hollywood per Hollywood e per la gente che lavora a Hollywood, e gentilmente offerta al resto del mondo senza troppe spiegazioni – se capisci capisci, altrimenti ti resterà il dubbio che sull’opportunità della blackface di Robert Downey Jr..

Tropic Thunder e Hollywood

Il punto della questione… ma qual è la questione? Tropic Thunder è la storia di una troupe cinematografica che deve girare un costoso e spettacolarissimo film di guerra, e che a causa di un’infelice scelta di location si ritrova coinvolta in una vera guerriglia, non per forza con piena consapevolezza della situazione. Questo dà la scusa a Ben Stiller per sfogare tutta la sua passione per certo cinema di guerra – Tropic Thunder è anche un ottimo action, oltre a essere esilarante – ma, soprattutto, per parlare di sé e dei suoi colleghi.

Tropic Thunder black

C’è quello che applica il metodo con tale applicazione che non ha problemi a presentarsi sul set in blackface parlando tutto il tempo in inglese afro-americano vernacolare. C’è una gag ricorrente che viene stirata fino ai confini dell’abilismo sul fatto che interpretare un personaggio disabile sia la strada più rapida verso un Oscar. C’è il Martellone di turno, interpretato da un Jack Black che in qualsiasi altro film sarebbe stata l’attrazione principale, e qui al contrario un po’ rimpicciolisce a confronto dei compagni di set. Ci sono una serie di archetipi, stereotipi, macchiette prese direttamente dal mondo di Hollywood – in questo senso, Tropic Thunder è un po’ il Boris di Los Angeles. Ci sono le esplosioni, i morti e il sangue, ma è prima di tutto un film che parla di industria, e del suo ecosistema.

L’ecosistema di Hollywood

E il messaggio che vuole far passare è: stiamo parlando di gentaccia. Non vale solo per i personaggi smaccatamente negativi (il pazzesco Les Grossman di Tom Cruise): ciascuno dei membri della crew del film-nel-film, Stiller compreso, ha una collezione di difetti lunga quanto la sezione “clausole” dei loro contratti, e tutti rappresentano in un modo o nell’altro qualcosa che non va a Hollywood.

Sten Biller

La blackface di Downey Jr., per usare l’esempio più clamoroso, e che tecnicamente non viene neanche presentata come tale ma come “cambio di pigmentazione per via chirurgica”, non vuole in alcun modo bersagliare le persone di colore – tanto è vero che il film stesso ci presenta il personaggio di Brandon T. Jackson come il contraltare e la voce della coscienza di questa allucinante scelta artistica. Il punto dell’intera gag è un altro: puntare il dito contro quegli attori che non si fermano di fronte a nulla pur di entrare in un ruolo, anche se quello che fanno può risultare offensivo. Direte “si poteva anche non usare una blackface, però, che è già offensiva di per sé”; ma il punto della questione è che questa roba deve essere offensiva, e se non fosse stata la blackface sarebbe magari stata una fatsuit (però a quel punto è grassofobia), o magari un travestimento femminile (che rischia di essere transfobia)…

“Non è la cosa in sé ma chi la fa”: è un po’ questo il riassunto della comicità di Tropic Thunder, un film che dice “tutti gli attori sono persone orribili” e fa fare loro cose orribili e/o stupide per dimostrare il suo punto. E il fatto che alcune scene (viene in mente per esempio Ben Stiller che propone il re-enactment delle migliori scene del suo film Simple Jack di fronte a una platea di guerriglieri) siano fisicamente fastidiose da guardare è, ancora una volta, precisamente lo scopo del film.

Les Grossman

Il problema dei layer

Il problema semmai è, come accennavamo all’inizio, che non per forza chi guarda Tropic Thunder ha una conoscenza anche solo superficiale di certi ingranaggi, di certi personaggi e di certi eccessi. E così alcune cose arrivano più dirette (Jack Black nei panni del comico tossico è di lettura estremamente facile), mentre altre sono quelle che hanno fatto tanto sconvolgere una parte della critica nel 2008 e che ancora oggi spingono Ben Stiller a fare dichiarazioni del tipo “pentirmi di Tropic Thunder? Quando mai!”.

Per cui sì, pur essendo un film all’apparenza facilone e molto, molto scemo, Tropic Thunder ha bisogno di almeno un paio di livelli di lettura per essere apprezzato davvero, ma soprattutto capito – nessuno vieta di non apprezzarlo e di trovare eccessive o comunque molto offensive certe scelte comiche, il punto è riuscire a farlo capendo il contesto.

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