Sono passati ben cento anni dalla fondazione della Disney. Un secolo di storia e di storie in grado di ridefinire l’immaginario di intere generazioni, impiantandosi in modo indelebile all’interno della cultura popolare occidentale e non solo. Un centenario, ahinoi, tutt’altro che sereno, segnato da eventi non proprio lieti che hanno inficiato, come abbiamo avuto modo di assistere nel corso dell’anno, sui festeggiamenti per questo importante avvenimento: tra gli scioperi in tutta Hollywood di sceneggiatori e attori, una riorganizzazione ai vertici in seguito al ritorno di Bob Iger come Amministratore Delegato, i significativi e pesanti tagli al personale e, infine, i sonori insuccessi al botteghino di diversi film targati Disney. In ogni caso, seppur vissuta in modo ben distante da quelle che potevano essere le iniziali aspettative, questa ricorrenza ha permesso ugualmente di riflettere sul percorso artistico e immaginifico dello Studio di Burbank e su quanto da esso realizzato in questi cento anni. In particolare, la recente uscita anche nei cinema italiani di Wish, il classico (il 62°) chiamato a celebrare proprio il centenario, ci dà modo di approfondire quella che, a partire da Pinocchio, ha costituito una delle icone più rappresentative e riconoscibili della Compagnia: la stella dei desideri.

La volta celeste è un’immagine ricorrente nella storia produttiva della Disney, fin dall’epoca dei cortometraggi anni Trenta. Esemplificativa, in tal senso, è la Silly Symphony del 1938 I pescatori di stelle, tratta dalla poesia Dutch Lullaby di Eugene Field, nella quale un trio di neonati sognano di navigare attraverso gli astri a bordo di uno zoccolo di legno. Ma è in particolare nei lungometraggi che essa assume maggiore rilevanza. Ne L’apprendista stregone Topolino fantastica su come manipolare e dominare le stelle attraverso la magia, ne Il re leone esse costituiscono la dimensione ultraterrena dalla quale i grandi re del passato osservano e vegliano sui propri successori e in Hercules sono lo spazio dove viene sancito il definitivo passaggio dell’eroe protagonista nel mito.

Le stelle diventano, quindi, la materia attraverso cui dare forma e sostanza tanto ai sogni quanto ai desideri e non è casuale che proprio una di esse sia diventata simbolo di tale ambivalenza, comparendo più volte all’interno dei Classici, fino ad assumere il ruolo di vero e proprio co-protagonista nell’ultima Opera realizzata dai Walt Disney Animation Studios. Ma qual è l’origine di tale icona?

Pinocchio: stelle, fate e provvidenza

Pinocchio

Per quanto Disney abbia contribuito a imprimere tale immaginario nel pubblico di massa, la stella dei desideri ha origini assai più lontane tanto nel tempo quanto nello spazio. A partire da una concezione assai differente che si aveva nei confronti di discipline come l’Astrologia, il rivolgersi alla volta stellata nella speranza di poter vedere un proprio desiderio realizzarsi o anche solo per buon auspicio è una pratica che fin dall’antichità è possibile rintracciare in diverse culture. La credenza più comune è che le stelle, come altri elementi naturali, costituissero una manifestazione divina e che in esse fosse scritto il fato di ognuno. Ciò portava gli individui, davanti a particolari condizioni, come per esempio il passaggio di una meteora (tradizione giunta fino ai giorni nostri), a rivolgersi direttamente agli astri (e quindi agli Dei) auspicando un eventuale mutamento del proprio destino.

Nel corso della sua carriera, Disney ha sempre fatto tesoro di spunti, fiabe e storie del passato, prendendoli ed adattandoli alle proprie produzioni. Non sorprende, quindi, quanto anche tale bagaglio di tradizioni e mitopoiesi ancestrali venga recuperato e convertito all’interno del secondo lungometraggio da lui realizzato. Nelle intenzioni di Walt, che pur non frequentando la chiesa si era sempre considerato un uomo religioso, la stella dei desideri in Pinocchio doveva ergersi come rappresentazione laica della divina provvidenza, la quale, manifestandosi nelle fattezze della Fata azzurra, si palesa ai personaggi nelle situazioni di difficoltà, accorrendo in loro soccorso, oppure per premiarli nel momento in cui dimostrano di meritarlo, esaudendo, per esempio, il desiderio di Geppetto nel dare vita alla marionetta da lui costruita o tramutando nel finale Pinocchio in un bambino vero.

Per quanto la stella abbia assunto oggi un valore iconico inequivocabile all’interno della produzione disneyana, ciò che le permise realmente di avere la riconoscibilità che la contraddistingue, tanto da permetterle di venire ripresa più e più volte dallo Studio è, di fatto, la canzone When You Wish Upon a Star (in italiano Una stella cade), composta da Leigh Harline con il testo di Ned Washington, la quale non solo vinse un Oscar per la miglior canzone (il primo di una lunga serie per la Disney), ma col tempo divenne anche il vero e proprio inno della Compagnia, accompagnando con il suo tema il celebre logo con il castello.

Peter Pan

Le avventure di Peter Pan: seconda stella a destra

Sebbene non venga mai identificata come tale, la presenza della stella dei desideri, o per lo meno di una stella che ne riproduca la medesima iconicità, in Le avventure di Peter Pan costituisce un significativo punto d’unione con la sua precedente apparizione. D’altra parte la volontà di portare su schermo il personaggio di J. M. Barrie era nei piani di Disney già dalla fine degli anni Trenta, pensando di poterne trarre un lungometraggio immediatamente dopo la realizzazione di Biancaneve. In seguito, però, a questioni legate ai diritti sull’Opera, fu costretto a rimandare l’idea, ripiegando su altri soggetti come, appunto, Pinocchio (non è un caso che all’inizio del film, durante la scena introduttiva con il Grillo parlante sia presente, a lato, un volume di Peter Pan). Esiste quindi un implicito legame tra le due pellicole, riscontrabile, tra le altre cose, proprio nella comune presenza della stella. Tuttavia, là dove nel primo film essa rispondeva a una natura che possiamo definire “spirituale”, nel secondo assume una connotazione più spaziale, costituendo una coordinata necessaria per comprendere come raggiungere l’Isola che non c’è («La seconda stella poi si volta e via sempre dritti»). Inoltre, ponendosi come manifestazione della volontà di Peter e della sua banda di bimbi sperduti di non crescere, non sarebbe improprio affermare quanto l’isola stessa, in qualche modo, erediti taluni aspetti e caratteristiche della stella dei desideri.

Principessa e il ranocchio

La principessa e il ranocchio: «il mio sogno si realizzerà!»

L’apparizione della stella in La principessa e il ranocchio, invece, anticipava, in un certo senso, il tipo di operazione adottata in Wish. Così come nell’ultimo Classico l’intento è quello di realizzare un concentrato di tutto ciò che la Disney è stata in cento anni d’attività, tra citazioni e rimandi, a partire dalla stella che assume lo stato di vero e proprio personaggio, ciò che veniva proposto nel film diretto da Ron Clements e John Musker rispecchiava la volontà di John Lasseter, allora alla guida tanto della Pixar quanto dei Walt Disney Animation Studios, di omaggiare la tradizione disneyana. Questo si concretizzava non solo tramite il ritorno alla vecchia animazione in due dimensioni, quasi del tutto abbandonata con l’avvento della computer grafica, ma anche attraverso il recupero di tutta un’impostazione e un immaginario che aveva costituito la storia della Disney. In tal contesto l’inserimento dopo tanto tempo della stella dei desideri si manifestava come un’esplicita dichiarazione d’intenti. Il fatto, inoltre, di conferirle un nome (Evangeline), nonostante rimanesse un elemento di sfondo, e ponendola come interesse amoroso della lucciola Ray, faceva di lei, in sostanza, un personaggio ufficioso all’interno del racconto.

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