Trieste Science+Fiction 2018: La voce del lupo, recensione
La recensione del film La voce del lupo, presentato alla diciottesima edizione del Trieste Science+Fiction Festival
Nico (Raniero Monaco di Lapio) è un poliziotto dal carattere difficile che ritorna nella città in cui è cresciuto dopo dieci anni, per dare l'estremo saluto alla madre che si è malata improvvisamente. In città, proprio nello stesso periodo, si sono iniziati a verificare degli omicidi inspiegabili che sembrano essere stati compiuti da una bestia enorme. La polizia sembra però convinta che Nico sia coinvolto nei delitti e alcune rivelazioni mandano in crisi l'uomo, le cui indagini lo portano a entrare in contatto con il professor Moreau (Christopher Lambert).
La sceneggiatura firmata da Alessandro Riccardi ha il merito di allontanarsi dal tradizionale legame tra i licantropi e potenziali maledizioni o attacchi sovrannaturali, presentandola come una condizione naturale con cui si può imparare a convivere, gestendo i propri istinti e la forza superiore alla norma. Purtroppo lo script è composto da battute prive di spessore e da un intreccio legato a potenziali sfruttamenti commerciali dell'area e all'inquinamento che rovina le aree naturali, elementi che appaiono senza fondamento o reale connessione con il resto della trama.La presenza di Alba (Marianna Di Martino) e la sua storia d'amore con Nico appare poi quasi del tutto ingiustificata, mentre gli altri rapporti con la famiglia e gli amici sono gestiti in modo superficiale e affrettato. La presenza di Lambert nel cast, poi, dà vita a un poco omogeneo passaggio dall'inglese all'italiano che rende la visione a tratti fastidiosa, mentre le svolte appaiono prevedibili e scontate.
Gli effetti speciali, seppur limitati, hanno una qualità non eccelsa e la stessa recitazione non va oltre la mediocrità, con passaggi eccessivamente enfatici ed emozioni, come rabbia e incredulità, portate all'estremo.La voce del lupo non sfrutta del tutto lo spunto brillante alla base della storia, cercando di affidarsi a una buona atmosfera per non scivolare nell'involontaria comicità in alcune sequenze, come quelle della trasformazione o dell'uscita di scena di uno dei personaggi principali, che dovrebbe invece essere caratterizzata da pathos e coinvolgimento emotivo.