Frontier (prima stagione): la recensione

La recensione della prima stagione di Frontier, la serie con Jason Momoa distribuita da Netflix

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Spoiler Alert
Difficile individuare picchi di merito o demerito particolari in Frontier. Come i suoi protagonisti, si muove con difficoltà immersa nelle fredde nevi del Nord America. Qualcuno si agita con difficoltà e rabbia, brandendo un coltello o un'altra arma e cercando con violenza di realizzare i suoi obiettivi. Tutto è chiaro e superficiale. Ciò lo rende senza dubbio guardabile, ma al tempo stesso lontano dal costruire un vero coinvolgimento da parte dello spettatore nei confronti di ciò che accade nei sei episodi di cui si compone la serie di Netflix. Dovuta precisazione: in realtà la serie è stata co-prodotta con Discovery Channel, che ha reso disponibile la prima stagione tra novembre e dicembre, con la piattaforma streaming a curare la distribuzione internazionale, avvenuta lo scorso 20 gennaio.

L'ambientazione è quella del Canada nel XVIII secolo. L'intreccio presenta il duro scontro tra la potente Compagnia della Baia di Hudson e alcuni piccoli gruppi determinati ad inserirsi nel commercio delle pellicce. Il cuore narrativo non è rappresentato, contrariamente a quanto potremmo credere, da ciò che accade al personaggio interpretato da Jason Momoa. Seguiamo invece in larga parte la vicenda tramite lo sguardo del giovane Michael Smith, un irlandese che per vari motivi finisce nel Nuovo Mondo. Qui si trova suo malgrado al centro dello scontro tra il crudele Lord Benton, inviato dalla Compagnia, e il temuto Declan Harp.

Ai margini di questo scontro a distanza si consuma un pugno di altre storie. Spiccano la storia d'amore tra lo stesso Michael e Clenna, da cui è stato separato, oppure le mire del capitano Chesterfield, sottoposto di Benton, o ancora le difficoltà di Grace, che gestisce una taverna sul posto, crocevia di molti incontri importanti.

Frontier lancia le proprie storie in avanti cullandosi sulla relativa semplicità di queste e sulla sensazione di familiarità che in ogni caso susciteranno. D'altra parte proprio questa sensazione di già visto rappresenta un ostacolo costante, dato che per il resto i motivi di interesse potrebbero portarci a vacillare nella visione, che comunque è semplificata dall'esiguo numero di episodi. Manca di carattere Frontier, di quella forza propulsiva che avrebbe potuto trovare nelle ambientazioni affascinanti, nella brutalità della natura selvaggia che si rispecchia negli uomini e donne che in quei luoghi abitano e formano le proprie caratteristiche.

E invece tutto risulta molto costruito, dai singoli percorsi, agli incontri sulla strada, alle decisioni da prendere, agli ostacoli e soluzioni che si presenteranno sulla via apparentemente per favorire certi esiti. Non spiccano mai davvero i caratteri, e lo stesso Jason Momoa viene sacrificato da uno script che pure non gli risparmia momenti di grande emotività e fragilità. Ecco, per chi volesse vedere un Khal Drogo o un Conan o, prossimamente, un Aquaman in vesti più umane, Frontier presenta un motivo d'interesse, ma non molto di più.

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