Se il 2022 è stato definito l’anno della “grande correzione di Netflix” e il 2023 sarà ricordato per il doppio sciopero che ha paralizzato Hollywood, il 2024 sarà probabilmente ricordato come l’anno della frenata negli investimenti sui contenuti cinematografici e televisivi: colossi come Disney e Netflix hanno già rilasciato dichiarazioni inequivocabili sulla necessità di “produrre di meno e meglio”. Dopo la streaming war, il contesto è mutato: si è passati da un’espansione, con investimenti ingenti e in perdita, a una contrazione nella quale gli studios chiuderanno il portafogli.

Ma tornando indietro di qualche anno, il New York Times ha pubblicato oggi un lungo reportage su una storia che ha dell’incredibile e che ha per protagonista Carl Erik Rinsch, regista britannico che nel 2013 diresse il kolossal 47 Ronin, costato 175 milioni di dollari e giudicato un pesante flop con soli 150 milioni di dollari in incassi in tutto il mondo. Qualche anno dopo, nel 2018, Rinsch si trovò al centro di un’asta al rialzo per il suo nuovo progetto, una serie fantascientifica intitolata Conquest incentrata su esseri umani artificiali, asta vinta da Netflix, che riuscì a battere un’allettante offerta di Amazon quando Cindy Holland (ex vice presidente dei contenuti originali) chiamò Rinsch a casa promettendogli nientemeno che il final cut, cioè il controllo creativo finale sugli episodi.

Se non avete mai sentito parlare di questa serie è perché non è mai andata in onda, nonostante Netflix abbia investito la bellezza di 55 milioni di dollari senza ricevere in cambio neanche un episodio terminato.

47-ronin

Storia di una debacle

Dopo il flop di 47 Ronin (per il quale il regista finì per scontrarsi con il produttore Scott Stuber, che ora è ironicamente capo della divisione film di Netflix), Rinsch tornò a dirigere spot pubblicitari, iniziando a sviluppare con la moglie un progetto indipendente: una serie tv su un genio che inventa una specie umanoide chiamata Organic Intelligent. Gli O.I. vengono utilizzati in aree del pianeta in difficoltà per portare aiuti umanitari, ma quando la loro vera natura emerge scoppia una guerra tra umani e O.I. La serie aveva un nome in codice, White Horse, come il primo cavaliere dell’Apocalisse.

Il progetto venne inizialmente finanziato da Rinsch con i propri soldi: le riprese si svolsero in Kenya e Romania con un cart principalmente europeo, in condizioni giudicate inumane (un giorno la troupe rimase sul set per 24 ore di fila). A quel punto entrò in gioco la casa di produzione 30West, che investì del denaro assieme a Keanu Reeves, che divenne co-produttore. Con questo denaro, Rinsch riuscì a montare sei mini-episodi da 4/10 minuti, utilizzati per proporre agli streamer una serie tv la cui prima stagione sarebbe dovuta durare 13 episodi. Tra gli interessati c’erano Amazon, HBO, Hulu, Netflix, Apple e YouTube: fu Netflix, come detto, a ottenere i diritti, convinta di poter realizzare un franchise come Stranger Things. La serie venne rinominata Conquest, e lo streamer diede al regista il final cut e la garanzia di rimanere coinvolto in tutte le stagioni successive e gli spinoff.

Iniziarono quindi le riprese, che si svolsero a San Paolo del Brasile, a Montevideo in Uruguay e a Budapest in Ungheria, e a quel punto apparve evidente che Rinsch non era in grado di gestire la produzione. Venne accusato dal suo team di maltrattamenti e di un comportamento inappropriato, un atteggiamento a volte violento che aveva anche con la moglie, co-creatrice e costumista della serie. Emerse che tali comportamenti potevano essere dovuti al suo abuso di medicinali su prescrizione per i disturbi dello spettro autistico e l’ADHD che gli erano stati diagnosticati. Concluse le riprese alla fine del 2019, un gruppo di amici (incluso Keanu Reeves) cercò di persuadere, invano, il regista a entrare in rehab.

All’inizio del 2020, Rinsch chiese ulteriori soldi a Netflix (che aveva già investito 44.3 milioni di dollari) affermando che altrimenti l’intera produzione sarebbe collassata. Nel frattempo, pare che il regista fosse indeciso tra due versioni della sceneggiatura, una delle quali prevedeva il doppio degli episodi (e il via libera a una seconda stagione). Netflix trasferì altri 11 milioni di dollari alla casa di produzione della serie, denaro che il regista trasferì poi sul suo conto per reinvestirlo in borsa (perdendo quasi sei milioni in poche settimane).

A quel punto, in piena pandemia, il suo comportamento iniziò a diventare ancora più preoccupante: Rinsch mandava messaggi complottisti e segnali di paranoia non solo ad amici e famigliari, ma anche a Cindy Holland di Netflix, che a un certo punto venne informata delle reali condizioni del regista quando la moglie decise di divorziare e fargli causa, a luglio del 2020.

Pochi mesi dopo, Holland e altri dirigenti di Netflix lasciarono l’azienda. Il nuovo team, a marzo del 2021, informò Rinsch che lo streamer non intendeva più finanziare Conquest e che poteva proporre la serie ad altri compratori, che però avrebbero dovuto restituire a Netflix quanto investito finora (55 milioni di dollari). Nel frattempo, il regista aveva investito i soldi rimasti (4 milioni di dollari) in bitcoin, e a maggio del 2021 si ritrovò con 27 milioni di dollari per le mani. Soldi che decise di spendere in mobili, vestiti e automobili, giustificando gli acquisti come “oggetti di scena” per la serie. Accusò poi Netflix di violazione contrattuale, chiedendo 14 milioni di dollari in danni: la vicenda è ancora irrisolta, ma breve verrà stabilito in arbitrato chi ha ragione.

Le affermazioni di Netflix e Rinsch

Le due parti in causa non intendono discutere con la stampa dei dettagli della vicenda, essendoci un arbitrato in corso. Rinsch, prima di togliersi dai social, aveva commentato di non voler rispondere ad alcuna domanda del Times perché prevedeva che si sarebbe parlato del fatto che in qualche modo avesse “perso la testa… spoiler: non è successo”. Per contro, un portavoce di Netflix si è limitato a commentare:

Dopo un mucchio di tempo e di sforzi, è apparso evidente che Mr. Rinsch non avrebbe mai completato il progetto che aveva accettato di realizzare, e quindi abbiamo deciso di cancellarlo.

Foto di copertina: Santiago Cerini

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