Affrontare la visione del revival di Full House significa fare un tuffo negli anni ’90 e questo, una precisazione s’impone dato il possibile malinteso, non è affatto un complimento. Anzi, tra tutti gli obiettivi che Fuller House si pone senza raggiungere, primo fra tutti quello di far ridere lo spettatore, ha l’indubbio merito di riuscire a farci apprezzare il livello medio della televisione di oggi rispetto a ciò che era lo standard delle comedy di venti anni fa. E non sono tanto le componenti tecniche a infastidire, e considerato il livello medio di interpretazioni e scrittura vuol dire molto, quanto il totale scollamento della serie dall’universo televisivo in cui è calata. Qualcuno forse immaginava che l’effetto nostalgia potesse bastare a giustificare l’idea, ma la sofferta visione dei tredici episodi su Netflix racconta un’altra, triste storia.

Una storia che in effetti inizia nel 1987, quando sulla ABC inizia ad andare in onda, proseguen...