Kiss Me First: la recensione

La recensione di Kiss Me First, serie inglese distribuita da Netflix

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Iniziamo con il chiarire un possibile dubbio: Kiss Me First non ha niente a che vedere con Ready Player One. La premessa è necessaria perché, forse ingannato da un trailer che mostra dei giovani che si interfacciano con una realtà virtuale tramite un visore, a qualche spettatore potrebbe sorgere il dubbio. Lontanissimo dall'essere quindi la "risposta seriale" al film di Spielberg, lo show di Channel 4 distribuito da Netflix è molto più vicino, idealmente, a Black Mirror. Ne riprende un certo gusto per la critica sociale, il disinteresse per il worldbuilding, le atmosfere fredde e dimesse. Al tempo stesso, tuttavia, lo spunto interessante si spegne episodio dopo episodio, non supportato da un intreccio all'altezza.

Ci troviamo in uno strano presente alternativo nel quale il gioco più popolare è Azana. Si tratta di un mondo di fantasia al quale si accede tramite un visore e in cui ogni giocatore crea il proprio avatar lanciandosi nelle varie quest che gli permettono di accumulare crediti. Seguiamo in particolare Leila, una giovane che ha da poco perso la madre. Muovendosi nel gioco con il proprio avatar Shadowfax, incontra una ragazza di nome Tess, che la introduce ad un gruppo di altri giocatori. Questo nucleo di personaggi, ognuno in qualche modo solo o disadattato, si muove in uno spazio – dal nome matrixiano di Red Pill – nel quale le consuete regole di Azana sembrano non valere. Il leader del gruppo, Adrian, sembra tuttavia nascondere un segreto, e non ci vorrà molto prima del precipitare degli eventi.

Brian Elsley, creatore della serie cult Skins, torna a raccontare giovani difficili. Lo fa a partire da una prospettiva fantascientifica, adattando il romanzo omonimo di Lottie Moggach in una serie da sei episodi. Tuttavia, il senso più profondo di Kiss Me First va in direzione opposta a quella del genere di appartenenza, e non ci vorrà molto a comprenderlo. La premessa fantascientifica è solo il corollario di una strana vicenda che, almeno nelle prime puntate, vuole essere uno spunto per discutere di solitudine, incertezza, anaffettività. Nessuno dei personaggi del gruppo ha una stabilità al di fuori del mondo virtuale e, nel più scontato dei temi tirati fuori quando si parla di videogiochi, la costruzione di un avatar diventa uno sfogo attraverso il quale dipingere una versione apprezzabile di se stessi.

Nel voler porre lo spunto critico sopra all'accuratezza dell'ambientazione sta il paragone con Black Mirror. Come in molte delle puntate della serie di Charlie Brooker, anche qui si tratta di imperniare un intreccio basilare intorno ad un'idea che non si svolge in un mondo definito nel dettaglio. Questo è uno strano presente – con tanto di date molto precise – in cui però l'unica differenza è Azana, mentre il resto del mondo è identico. Un'idea di questo tipo andrebbe anche bene, se poi lo spunto di partenza fosse sviluppato in modo interessante. Il problema è che non lo è. Il mondo di Azana non ha nulla che lo definisca, gli avatar non hanno personalità, la stessa giocabilità viene mostrata con il contagocce. Soprattutto, non c'è mai un momento di puro intrattenimento o godimento del gioco. Come se chi ha realizzato questa serie non fosse interessato al medium del videogioco, al suo linguaggio, alle sue potenzialità, ma lo utilizzasse quasi a malincuore per raccontare altro.

La stessa libertà della Red Pill è un altro punto interrogativo, che apre la porta alle vere problematiche della serie (che ha un finale aperto). Infatti, è come se ci fosse un blocco mancante tra la premessa dell'intreccio e le situazioni da cui parte, e le conseguenze molto forti di quel che vediamo. Ad esempio, l'interesse di Tess per Leila, i retroscena degli altri personaggi e i rapporti di affetto o sottomissione tra di loro, un inquilino di Leila e il suo bizzarro interesse a fasi alterne per la protagonista. Ma sono tanti piccoli esempi, difficili da contestualizzare, di una serie in cui l'intreccio assume un incedere sempre più vago e poco interessante, quando non apertamente illogico, con l'avanzare della storia. Leggerezze di trama che stridono con una vicenda che invece vorrebbe avere una sua pesantezza e forte carica drammatica, ma che in conclusione si rivela un tentativo che cade nel vuoto.

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