Lasciateci cominciare questa recensione della seconda stagione di The Witcher con una metafora calcistica che non ha nulla a che fare con la serie Netflix se non per il fatto che il protagonista è stato inventato da un autore della stessa nazionalità del più forte centravanti del mondo.
La metafora è questa: se il primo tiro della partita lo spari in tribuna, con il secondo ti basta centrare lo specchio per beccarti qualche applauso. La prima stagione di The Witcher non era esattamente una palla in curva, più che altro un tiro moscio a fil di palo; ma gran parte del fandom, e anche della gente che ha scoperto il franchise per la prima volta con la serie, l’ha percepita come tale. Troppe timeline sovrapposte e non chiaramente identificabili, effetti visivi spesso rivedibili, troppi personaggi dei quali si faceva a meno, soprattutto troppa verticalità e la sensazione che lo show stesse ancora brancolando nel buio in cerca di una direzione o quantomeno di un vago suggerimento.

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