Non è sicuramente un segreto che il nemico da sconfiggere per WGA e SAG-AFTRA in questa battaglia combattuta a suon di scioperi siano i servizi streaming, Netflix in testa. Da quando questi ultimi sono subentrati cambiando completamente un sistema di business consolidato da anni, per autori televisivi ed attori sono infatti cambiate molte cose (a sentire loro non in meglio), motivo per cui Hollywood ha letteralmente deciso di tirare il freno a mano e fermarsi fino a che non si fosse trovata una soluzione, né è un segreto che proprio gli streamer (di nuovo, Netflix in testa), abbiano più o meno reagito alla decisione dei due sindacati di ricorrere allo sciopero facendo quasi spallucce e lasciando intendere che la natura internazionale del loro business gli avrebbe comunque risparmiato la paralisi, grazie ai contenuti prodotti in paesi che non sono gli Stati Uniti e che arrivano sulla piattaforma ad arricchire la loro offerta.

Ma è davvero una strategia sostenibile? Secondo un interessante approfondimento pubblicato da Variety non sarebbe affatto così.

Cosa dicono i dati di Netflix

Sebbene la natura globale di Netflix metta il servizio streaming maggiormente al riparo dalle ripercussioni che la TV generalista americana subirà dagli scioperi e che, lo ricordiamo, perché è un elemento davvero molto importante, oggi non sono ancora visibili al pubblico, le agitazioni sindacali non lo mettono completamente al riparo dagli effetti degli scioperi, quantomeno non come Netflix vorrebbe far credere.

Sebbene infatti, in assenza di produzioni americane, il pubblico potrebbe essere spinto ad andare a cercare programmi internazionali, è innegabile che il cuore del business della piattaforma streaming rimangano le serie in lingua inglese che arrivano dagli Stati Uniti.

Dai tempi del successo globale di Squid Game sono ormai trascorsi 2 anni e non solo su Netflix non è ancora approdata l’annunciata seconda stagione, ma la piattaforma non è stata in grado di produrre un successo globale paragonabile a quello ottenuto dalla serie coreana, mentre quelle americane continuano ad essere indiscutibilmente il punto di forza. Secondo la stessa Global Top 10 di Netflix, per esempio, nel 2022, Wednesday e Stranger Things sono state le serie di maggiore successo per il servizio streaming, con gli show che sono stati guardati in più di 90 paesi per 1,5 miliardi di ore nei primi 91 giorni dal rilascio degli show, che è il parametro scelto da Netflix stesso per indicare il successo o meno di una serie televisiva. Il dato è sicuramente inferiore alle 2,2 miliardi di ore di visualizzazione di Squid Game, ma è anche vero che sulla piattaforma non esiste serie – americana o meno – che sia riuscita a raggiungere un simile risultato, facendo dello show, almeno per il momento, una mosca bianca.

Una strategia non poi così vincente

Nonostante quindi la risposta di Netflix agli scioperi sia stata che la strategia di distribuzione globale la metta al riparo da gravi ripercussioni, i numeri sembrano raccontare un’altra storia, considerato come nessuna produzione, dall’uscita di Squid Game, serie usata come esempio per per dimostrare la validità della loro stessa teoria, sia riuscita anche solo lontanamente a raggiungere i medesimi risultati di quello che è stato uno show fenomeno.

Considerato tuttavia come alcune produzioni americane, dal allora, siano riuscite a “proteggere comunque il forte“, la mancanza di un successo globale paragonabile a quello di Squid Game potrebbe non essere un problema, se non fosse che il rubinetto che fornisce quei successi è al momento chiuso.

Nonostante il co-Amministratore Delegato di Netflix, Greg Peters, a gennaio del 2023 avesse dichiarato, in un’intervista a Bloomberg, come fosse raro che una serie come Squid Game, prodotta in Corea, nel giro di 30 ore diventasse un successo globale solo grazie al passaparola, senza bisogno di alcuna spinta da parte di Netflix ed avesse anche aggiunto come la loro strategia era rendere la risposta a Squid Game la normalità o più precisamente, citiamo: “qualcosa che accade ogni settimana“, qualcosa deve essere andato decisamente storto.
Sette mesi dopo, infatti, la “nuova normalità” auspicata dalla dirigenza della piattaforma streaming non sembra aver dato i risultati sperati, non si sa se siano stati concretamente fatti degli investimenti in tal senso, se non abbiano funzionato o, più semplicemente, se le parole di Peters fossero solo una pia illusione. Il dato di fatto concreto è infatti che Squid Game è l’eccezione che conferma la regola e che non è possibile replicare certi successi, sicuramente non studiandoli a tavolino. Lo dicono i numeri ed è una lezione che la TV generalista ha imparato ormai da tempo.

Che Netflix stia investendo all’estero è altresì un dato di fatto. Lo scorso anno, per esempio, la piattaforma ha annunciato di aver raddoppiato il budget per i contenuti in lingua tedesca a mezzo miliardo di dollari tra il 2021 e il 2023 e di voler investire 2,5 miliardi di dollari nella programmazione coreana nei prossimi quattro anni, il che si è riflettuto sui contenuti americani che, nella piattaforma, sono calati dal 60% al 40%.

La spiegazione data da Netflix per questa migrazione di capitali, affidata alle parole di Bela Bajaria, responsabile dei contenuti, è che il loro intento è quello di produrre programmi che abbiano successo principalmente nel mercato per cui sono stati realizzati pur essendo inseriti in una piattaforma globale (il che in parte contrasta con le dichiarazioni di Peters di voler fare del successo di Squid Game la normalità) e che, se di fatto, queste produzioni dovessero poi avere un successo internazionale, ben venga.
Se anche questa fosse la vera strategia di Netflix, tuttavia, non risulta che, ad eccezione di Corea del Sud e Stati Uniti, vi siano prodotti locali da annoverare come successi. In Germania, per esempio, in cui la Top 10 è dominata settimanalmente da serie americane originali o su licenza, nonostante l’aumento degli investimenti, i prodotti locali hanno totalizzato solo un 3% di ore di visualizzazione all’interno della piattaforma, mentre quelle americane detengono ancora il primato del 50% di ore di visualizzazione.

Sia che la strategia di Netflix sia quella di produrre contenuti che abbiano successo a livello globale creando dei fenomeni alla Squid Game, sia che sia quella di produrre contenuti di successo a livello locale, per scrollarsi di dosso l’egemonia delle serie americane, la realtà dei fatti è che non sembra che la cosa stia funzionando il che, ovviamente, ha delle implicazioni anche per ciò che concerne lo sciopero. Considerata la risposta del pubblico alle produzioni americane, che dimostra come gli spettatori vogliano quei contenuti, la strategia vincente (quella di cui nessuno parla anche perché i veri risultati degli show sono gelosamente conservati dalle piattaforme che rifiutano di condividerli), è semplicemente quella di investire nei prodotti più seguiti, cioè gli show americani, e togliere fondi a quelli che non danno i risultati sperati, ma ammetterlo adesso, significherebbe dare un’arma a chi sta scioperando per far valere i propri diritti, cosa che Netflix non può chiaramente permettersi di fare, quantomeno non apertamente.

Lo stop delle produzioni americane, le cui ripercussioni si sentiranno (eccome se si sentiranno!) nei prossimi mesi, potrebbe dimostrare come la domanda di prodotti americani sia più alta di quanto la piattaforma non vorrebbe o spererebbe, il che metterebbe la leadership di Netflix nelle condizioni di tornare a sedere sul tavolo delle trattative, che non per nulla sono ricominciate da poco, da una posizione decisamente più debole di prima, una in cui i sindacati sono ormai stati in grado di vedere il loro bluff.

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