In occasione dei quarant’anni dell’uscita italiana di Frankenstein Junior, l’anno scorso, la casa editrice indipendente Sagoma ha pubblicato una nuova edizione della sua autobiografia, intitolata “Come lo Feci”, con una prefazione di Francesco Alò e l’endorsement di BadTaste.it.
Ieri purtroppo Wilder ci ha lasciati, e per ricordarlo oggi vi proponiamo la prefazione scritta da Francesco. La trovate subito sotto le copertine dell’autobiografia e dei romanzi dello stesso Wilder (che era anche un apprezzato scrittore, oltre che sceneggiatore, attore e regista), che potete acquistare in questa pagina, mentre in questa pagina potete acquistare l’autobiografia con la prefazione di Francesco a un prezzo speciale.

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Una Vita con la V maiuscola
di Francesco Alò

È difficile per un amante della commedia cresciuto negli anni Ottanta scrivere una prefazione a questa meravigliosa autobiografia di Gene Wilder… senza perdere il controllo. Wilder per molti della mia generazione è un Dio della Commedia con la D e C maiuscole. E in questo caso cosa ci troviamo di fronte? Un Dio della Commedia – con la D e la C maiuscole – che ricorda e analizza vita, sorte e miracoli artistici da quando, a otto anni, faceva fare la pipì a mamma dalle risate per tirarla su da una brutta malattia al cuore, a quando, da grande, si trovò di nuovo a combattere contro  malattie legate a se stesso e propri cari, ma senza la beata spensieratezza dell’infanzia.

I nostri anni di gioventù videro anche il fenomeno Frankenstein Junior esplodere nuovamente, non al cinema, bensì nelle nostre case. Era da poco arrivato il VHS nel nostro Paese e quella videocassetta avrebbe presto battuto ogni record di vendite homevideo in Italia registrando il più grande profitto per il film al di fuori degli Stati Uniti d’America. Tutti vedevamo e rivedevamo Frankenstein Junior e ci ripetevamo le battute tra compagni di classe, amichetti e genitori. Ed erano passati già almeno 10 anni dall’uscita italiana in sala di quello strano film in bianco e nero risalente all’estate del 1975 (negli Stati Uniti fu distribuito a dicembre dell’anno precedente). Sembrava piacere proprio a tutti, anche grazie al lavoro sopraffino in edizione italiana dei nostri Roberto De Leonardis e Mario Maldesi. Certamente il fatto che fosse in bianco e nero e così fuori dal tempo permetteva al capolavoro di Mel Brooks di affrontare gli anni meglio di altri film a colori. Al centro c’era lui, quell’uomo nervoso con baffi elettrici, capelli vaporosi e occhi spiritati che urlava: “Si può fare!” rinnegando anni e anni di lavori scientifici in favore del mito horror di ridare vita alla morte come nel romanzo del 1818 di Mary Shelley che avrebbe ispirato gli horror in bianco e nero di James Whale con Boris Karloff, a loro volta base da cui far partire quel revisionismo firmato Wilder-Brooks. L’assenza di colore ci privò dei suoi occhioni di un azzurro devastante e quindi Wilder nel film sembra più cattivo e sexy. Ogni singolo ricordo di quell’esperienza cinematografica per bocca dell’autore del suo soggetto sarà oro per i vostri occhi. Dalla scelta buffa del titolo (Wilder scrive Young Frankenstein in cima a un foglio forse ispirato da Young Tom Edison con Mickey Rooney visto da piccolo) alla collaborazione in sceneggiatura con Mel Brooks, all’inizio riluttante ad accettare la regia in quanto non autore solista del soggetto.

Il resto è Storia. Con la S maiuscola. Ma visto che la vita di Gene Wilder è enorme come la sua arte, caro lettore, è ovvio che Frankenstein Junior non prenderà tutto il centro di questo libro. Leggerai di come Orson Welles lo stimasse sinceramente, del perché cambiò il suo nome da Jerry Silberman (che tanto male poi non era per un comico), della lezione appresa vedendo Il Circo di Charlie Chaplin (“Se la cosa che stai facendo è davvero divertente, non hai bisogno di recitarla in maniera divertente”) e di quanto Woody Allen lo considerasse al punto da metterlo in competizione con Laurence Olivier per il mitico ruolo del dottor Ross in Tutto Quello Che Avreste Voluto Sapere sul Sesso (ma Non Avete Mai Osato Chiedere). Ebbene sì: Wilder è quel medico che si innamora della pecora di nome Daisy. Wilder poteva tutto perché, come Woody Allen e Mel Brooks immediatamente intuirono, non era un grande comico ma un eccellente attore. La ricerca della motivazione e della credibilità lo spinsero a frequentare l’Actor’s Studio di Lee Strasberg e recitare in drammi sofisticati a Broadway dove per la prima volta Mel Brooks lo vide al fianco della propria fidanzata dell’epoca, Anne Bancroft, in Madre Coraggio e i Suoi Figli nel lontano 1963. Ma c’è anche qualcos’altro che vi farà impazzire oltre ai mille aneddoti e perle di saggezza sullo show biz e l’arte dell’attore. Cos’è? Il candore. La sincerità di un uomo così abituato alla psicoanalisi (esilaranti i suoi duetti per tutto il libro con la fantomatica analista di fiducia Marjorie Wallis) da sottoporsi costantemente a riflessioni su se stesso (convinto di somigliare da sempre alla mamma, si rende conto con la mezza età di portare in scena quasi sempre un personaggio ispirato chiaramente al papà) e sul proprio lavoro (la dicotomia interessante negli attori tra timidezza ed esibizionismo). Si intuisce tra le righe che scrivere queste memorie è stato per Wilder terapeutico. Quale demone volesse sconfiggere, non lo sappiamo. Forse l’oblio. O forse il Demone (anche lui è un personaggio maiuscolo di questo romanzo) era già stato sconfitto e quindi Wilder voleva solo festeggiare la vita scrivendo le sue memorie ora che avrebbe potuto urlare di nuovo e in piena salute: “SI PUO’ FARE!” Tutto maiuscolo.

Brano pubblicato su gentile concessione di Sagoma Editore, riproduzione riservata

 

 

 

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