È dal 2007, ovvero da Paranoid, che Gus Van Sant non firma soggetto o sceneggiatura dei film che dirige, eppure The Sea of Trees sembra l’altra faccia di una medaglia a cui già appartiene L’amore che resta. L’accettazione del lutto, i richiami alla cultura giapponese (nel 2007 era il samurai, qui è l’ambientazione), l’idea che quando si è a terra si debba davvero perdere tutto per potere ricominciare: il cineasta statunitense sembra vivere una fase ascetica. Non c’è aldilà se non con il sacrificio.

Aokigahara è un celebre parco giapponese alle pendici del monte Fuji considerata tra i migliori luoghi dove morire. È qui che si ritrova un professore di scienze diventato da poco vedovo. Vorrebbe suicidarsi, ma prima di compiere l’estremo gesto incontra un uomo giapponese in cerca di aiuto. Vaga moribondo da giorni, si è perso. Inizia così un avventura che porterà la coppia a confidarsi reciprocamente le ragioni che li hanno portati fin lì. Si ascoltano, ma non sono soli, c’è anche la fore...