In Il labirinto del silenzio tutto quello che solitamente i film sulla shoah si fanno vanto di mostrare viene negato, viene raccontato, evocato e messo nella testa degli spettatori senza effettivamente mostrarlo. Il genere in assoluto più crudo e impietoso rinuncia alla sua caratteristica primaria, quella sorta di missione di cui si autoinveste e che consiste nel mostrare l’orrore perché nessuno dimentichi, calcando la mano con le armi del cinema quanto più possibile sulla crudeltà e l’infamia, la mancanza di umanità e il dolore. Come se quello fosse l’unico metro su cui si giudica la correttezza morale del genere (quando invece è più probabile il contrario). Questo avviene perché Il labirinto del silenzio in realtà è più un film sulla Germania che si è opposta al nazismo che uno su quella nazista.
Il film di Giulio Ricciarelli prova a guardare retrospettivamente l’olocausto e desumere le cause dalle conseguenze. L’operazione sarebbe raffinatissima ma il risultato lo è molto meno...
La Germania inizia la seconda fase dell'elaborazione del nazismo al cinema con Il labirinto del silenzio. Quella in cui i figli condannano i padri
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