Il terzo tentativo di far partire una saga dai libri di Millennium è affidato stavolta Fede Alvarez. Il suo Millennium – Quello Che Non Uccide è stato presentato alla Festa del Cinema di Roma alla presenza dello stesso regista e dell’attrice protagonista, Claire Foy.

Fede Alvarez sembra un regista degli anni ‘90, con quei capelli lunghi ingrigiti dall’età e la barba da nerd. Sembra un topo da video store e ha anche idee e principi incrollabili da cineasta idealista, innamorato della storia del cinema.
Si è messo in luce con Ataque de Panico, un corto messo su YouTube breve ed efficace, è riuscito nell’impresa impossibile di fare un remake di La Casa completamente diverso dagli originali di Raimi ma potentissimo e con Man In The Dark ha confermato di avere un talento pazzesco per la tensione e il lavoro raffinato sulle immagini, meglio se senza dialoghi.

Al contrario Claire Foy è il rarissimo esempio di attrice che somiglia ai suoi ruoli (Lisbeth Salander esclusa ovviamente), una donna moderata, che si presenta come di altri tempi. Siede in pizzo alla sedia, è vestita con molto garbo e delicata nei gesti e nelle parole. Lo stereotipo della donna inglese, con un humor affilato ma non troppo, impossibile da attirare in una conversazione pericolosa, controllatissima e attenta a quello che dice.
Che proprio lei con i ruoli che ha interpretato e con la maniera in cui si presenta sia stata scelta per Lisbeth Salander ha dello sbalorditivo.

La prima cosa che un regista a cui viene affidato un film della saga di Millennium deve decidere è chi interpreterà Lisbeth Salander. Tra tutte le possibili scelte come sei finito su Claire Foy che non aveva mai fatto nulla di anche lontanamente simile a questo. Come ti è venuta in mente?

FEDE ALVAREZ: “Con Lisbeth Salander non serve rallentare il racconto per starle appresso tanto lei non ti dà nulla, non è un personaggio che ti fa capire cosa pensi o che lo dice a parole. Allora mi serviva un’attrice come Claire Foy che è bravissima a far vedere le emozioni represse negli occhi. Inizia molto coraggiosa e poi è sempre più spaventata. Così quando rallentiamo un attimo per capire come sta Lisbeth ognuno si può fare la sua idea, del resto non mi piace dire le cose al pubblico. Mi piace trattenere le emozioni in modo che sia tu a doverti sporgere per cercare di capire, devi farti strada da solo e devi stare attento”.

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Qual è la prima cosa che pensa un’attrice quando le viene proposto di interpretare Lisbeth Salander?

CLAIRE FOY: “La cosa forte di questo personaggio è che parti da -25 quanto a gradimento del pubblico. Nessuno vorrebbe essere Lisbeth Salander, non è desiderabile. E io cerco sempre gli sfavoriti, in qualsiasi ruolo cerco di mettermi nella condizione di chi ha tutto contro, la persona che può ancora rovinare tutto. L’ho fatto anche con la regina Elisabetta”

Questa saga sembra non riuscire a partire. Ora dopo Fincher si ricomincia un’altra volta….

FA: “Considera che io non avrei mai fatto un secondo e terzo film dopo quello di Fincher, continuare su quello stile e quel tono impostati da un maestro come lui sarebbe impossibile. Questa è invece una storia di un altro autore, quindi è tutto un po’ meno sacro, basta essere fedele Lisbeth e puoi fare quel che vuoi. E del resto lo studio me l’ha consentito, altrimenti nemmeno avrei iniziato. Non ho mai fatto un film in cui non avessi il controllo totale”.

Quindi se dovessi spiegare lo stile e il tono del tuo Millennium come lo descriveresti?

FA: “Niente noir mistery nordico ma più pulp, a me piace Brian De Palma e il cinema coreano. Mi piace quel territorio tra il melodrammatico e l’espressionista che magari implichi anche una vendetta malata. Ieri sera ho rivisto il film e tutti questi vestiti rosso acceso nella neve facevano molto cinema sudcoreano ma immerso in una favola: iniziamo con una cittadina e finiamo nel bosco con la neve e una scogliera”.

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Le Lisbeth Salander precedenti avevano un trucco che le desessualizzava di più mi pare. Sia Rooney Mara che Noomi Rapace avevano un look che, come il personaggio del libro, cerca di essere quanto meno femminile possibile. Mi pare invece che voi abbiate optato per una soluzione un po’ più normale…

CF: “La storia di Lisbeth è che crescendo era molto carina, glielo dicevano in continuazione e questo non le ha fatto bene per niente. Penso che lei abbia ben presto realizzato che per essere lasciata in pace non deve essere attraente per gli uomini o almeno deve sembrare spaventosa, qualcuno da evitare, perché lei vuole essere evitata.
Detto questo a me non piace molto dover apparire in una certa maniera per essere attrice, non mi piace dover essere “bella” e non ho mai fatto personaggi che erano “belli”. In questo caso ho fatto quel che faccio sempre, un approccio dal basso verso l’alto, cioè sono partita da tutti gli elementi della personalità di Lisbeth e ognuno l’ho declinato nel look. Non dovevo essere avvicinabile e mi sarebbe piaciuto un look più radicale come ad esempio rasarmi le sopracciglia, perché è un espediente che ti cambia la faccia, ma era stato già fatto [Rooney Mara l’aveva fatto ndr]”.

La regina, la moglie di Neil Armstrong e ora Lisbeth Salander, sembra che il dolore sommesso sia una componente ricorrente nei suoi ruoli…

“Sì il dolore gioca un ruolo fondamentale nei personaggi che interpreto, è quel che gli dà forma, è ciò che ti manca che vorresti cambiare di te. Sono tutte cose sono cose che mi fanno scegliere un personaggio. Credo che alla fine farei lo stesso tipo di ragionamento anche se recitassi in una commedia romantica”.

Avete dovuto tagliare molto del libro?

FA: “Diciamo che di certo non ho dovuto tagliare i dialoghi, perché non è una storia raccontata dai dialoghi. E meno male perché nei miei script si parla sempre pochissimo. In Man In the Dark c’erano tipo 5 battute in totale! Mi piace raccontare cose complicate con le immagini. I miei film dovresti poterli guardare con il muto e capire comunque cosa accade, se questo non riesce allora ho fallito. È qualcosa che non piace agli studios ma non mi piego, scrivo i film che voglio e sono duro con le notes che mi mandano, sono per i registi vecchia scuola. Se non ti piace allora assumi un altro”

Sei così un purista però poi in questo film fai parlare i personaggi in inglese ma con un accento svedese. Perché? Che senso ha?

FA: “Infatti non mi piace per niente. Ma che alternative ho? Si potrebbe usare solo l’inglese, creare la convenzione che tutti parlano un inglese neutro. Ma l’inglese neutro non esiste, tutti hanno un loro accento. Così almeno è più coerente e credo che dopo un po’ il pubblico non se ne accorga più”.

Lo fai Man In The Dark 2?

FA: “La sceneggiatura ce l’ho ma non so se riuscirò a farlo. Di certo non lo voglio dirigere io. Onestamente non so quale sarà il mio prossimo film”

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