Un intervento del ministro della Cultura Bonisoli (via videomessaggio) all’interno della presentazione della ricerca congiunta tra Agis e IULM dal titolo “Spazi culturali ed eventi di spettacolo: un importante impatto sull’economia del territorio”, ha creato uno strano terremoto come tutto quello che riguarda il rapporto tra distribuzione in sala e contemporanea (o quasi) in streaming.

Il ministro ha detto:

“Mi accingo oggi a firmare il decreto che regola le finestre in base a cui i film dovranno essere prima distribuiti nelle sale e dopo di questo su tutte le piattaforme che si vuole. Penso sia importante assicurare che chi gestisce una sala sia tranquillo nel poter programmare film senza che questi siano disponibili in contemporanea su altre piattaforme”.

Inoltre, per come l’ANSA riporta le dichiarazioni, il ministro ha anche detto che il decreto in questione consentirà:

“ai gestori dei cinema di sfruttare appieno l’investimento per migliorare le sale e offrire un’esperienza di visione sempre più emozionante”

In realtà questa è già la prassi. Nel senso che le finestre di sfruttamento dei film seguono già un’impostazione che prevede che i film che vogliono uscire in sala debbano prima esaurire lo sfruttamento nelle sale (105 giorni al massimo, 60 giorni per film programmati in almeno 80 schermi e visti da meno di 50mila spettatori nelle prime tre settimane, 10 giorni per i film evento che passano per 3-4 giorni) per poter poi passare agli sfruttamenti successivi (on demand, in noleggio, su streaming, home video, tv a pagamento e via dicendo). Questa è tuttavia solo una prassi e, come fa notare La Repubblica, il decreto cui fa riferimento il ministro è uno dei molti decreti attuativi tramite i quali la ben nota Legge Cinema (220 del 2016) sta gradualmente entrando in vigore. Questi decreti attuativi vengono redatti uno dopo l’altro, molti sono stati ultimati altri devono ancora esserlo.

Non è quindi una decisione di Bonisoli o un provvedimento di questo governo. Come del resto non è una decisione che ha una qualche influenza sulla questione (molto discussa e in molti casi collegata a queste dichiarazioni) della distribuzione di titoli in contemporanea tra sala e streaming, come sono quelli di Netflix, nonostante vorrebbe. La norma stessa infatti prevede che riduzioni della window siano ammesse solo se “nel periodo di programmazione del film non venga fatta attività di lancio e promozione della successiva disponibilità dell’opera attraverso fornitori di servizi di media audiovisivi”. Vuol dire, per fare un esempio, che Netflix mentre un suo film è al cinema non dovrebbe pubblicizzare in alcun modo il fatto che lo stesso sarà sulla sua piattaforma per poterlo programmare meno di 105 o 60 giorni dopo la corsa in sala.

Tuttavia tutto questa non è una regola che blocca esercenti o distributori (i cinema sono delle imprese private e ognuno è libero di programmare quel che crede), sono solo regole che consentono l’accesso ai fondi dedicati alla distribuzione e alla produzione. Dunque Netflix, o chi per esso, sarà libero (d’accordo con le sale) di non rispettare le window sapendo che non questo gli impedirà di accedere ai fondi che lo stato prevede per chi invece le rispetta.

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