Il libro di memorie del presidente e CEO della Disney Bob Iger, The Ride of a Lifetime: Lessons Learned from 15 Years as CEO of the Walt Disney Company, regala altri interessanti aneddoti questa volta relativi alla Marvel.

In realtà, avevamo già parzialmente affrontato la questione in questo articolo in cui abbiamo riportato le parole dell’executive su Steve Jobs, su quanto il co-fondatore della Apple, diventato singolo azionista di maggioranza della Casa di Topolino grazie alla vendita della Pixar, fosse stato fondamentale anche nell’operazione che portò la Casa delle Idee sotto l’ombrello della Disney.

Un rapporto, quello fra Iger e Jobs, che è sempre stato molto diretto, tanto che Jobs, racconta Iger, non si nascose di certo dietro a un dito dopo aver visto, e sostanzialmente disprezzato, Iron Man 2.

Quando Iron Man 2 arrivò nelle sale, Steve portò suo figlio a vederlo e mi chiamò il giorno dopo. “Ho portato Reed a vedere Iron Man 2 ieri sera, il film fa schifo”. Gli dissi “Beh, grazie, ha già fatto 75 milioni e ci garantirà numeri importanti nel week-end. Non prendo alla leggera le tue critiche Steve, ma il film è un successo e tu non sei propriamente rappresentativo del pubblico”. (Sapevo che Iron Man 2 non era proprio concepito come film da Oscar, ma non potevo dargliela sempre vinta facendogli capire che aveva ragione).

Un periodo, quello di Iron Man 2, in cui i Marvel Studios di Kevin Feige dovevano rispondere non direttamente ai Walt Disney Studios, bensì alla Marvel Entertainment di Ike Perlmutter. Anni di pellicole riuscite a metà malgrado gli incassi, di celebri divorzi (Edgar Wright) e di “battaglie intestine” di cui, nel corso del tempo, vi abbiamo parlato, grazie alle varie indiscrezioni che arrivavano da Hollywood e dintorni culminate nella separazione delle due entità e nei sostanziali pieni poteri conferiti a Feige.

Nel suo libro, Iger non sorvola neanche sulle questioni avute con la Marvel Entertainment e i suoi dirigenti fermamente contrari a pellicole come Black Panther e Captain Marvel, film di cui il boss della Disney aveva già intravisto tutto il potenziale. Lungometraggi che, però, non venivano approvati dalla casa madre perché ritenuti di scarso appeal commerciale, destinati a floppare al botteghino.

Sono stato abbastanza a lungo in questo business da aver ascoltato ogni vecchio argomento presente nel manuale e da sapere che i vecchi argomenti non sono altro che questo: roba vecchia e fuori passo rispetto a dove si trova e dovrebbe essere il mondo. Avevamo la chance di realizzare un gran film e di parlare di un segmento d’America che non riceve le giuste attenzioni, obbiettivi che non si escludevano a vicenda. Ho chiamato Ike e gli dissi di dire al suo team di smetterla di bloccare le operazioni ordinando di mettere in produzione sia Black Panther che Captain Marvel. Probabilmente non c’è prodotto, fra quelli che abbiamo creato, che mi renda più orgoglioso di Black Panther. L’esperienza di vederlo alla premiere presso un Dolby Theatre gremito come non mai resterà per sempre uno dei momenti più memorabili della mia carriera. Fino a quel momento, avevo solo visto degli screening insieme a un numero ristretto di persone allo studio. Sapevo che aveva qualcosa di speciale, ma non puoi mai avere la matematica certezza di come qualcosa finirà per essere accolta. Ciò nonostante, non vedevo l’ora di condividerlo col mondo, di vedere e percepire le reazioni delle persone. Quella notte, in quella stanza, c’era un’atmosfera di pura energia già da prima che si spegnessero le luci. Si poteva capire che stava per accadere qualcosa che non aveva precedenti, qualcosa di storico e il film è stato anche in grado di superare queste aspettative.

Nel libro, emerge anche una questione interessante: la Marvel era finita nel radar della Disney già quando era Michael Eisner a guidare il gruppo.

Quando ero da poco al lavoro nel team di Michael, partecipai a un pranzo dello staff in cui lui tirò fuori l’idea di comprare la Marvel. Una manciata di dirigenti seduti al tavolo obbiettò. Secondo loro la Marvel era troppo “spigolosa” e che avrebbe macchiato il marchio Disney. All’epoca – internamente e fra i membri del consiglio di amministrazione – c’era la convinzione che la Disney fosse un brand singolo, monolitico e che tutti i nostri affari dovevano esistere sotto all’ombrello della Disney. Era mia impressione che Michael lo sapesse, ma tendeva a prendere sul personale ogni reazione negativa al brand o obiezioni sulla gestione del medesimo.

Cosa ne pensate? Ditecelo nei commenti!

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