Quando 20 anni fa arrivò Shrek al cinema non esisteva ancora un Oscar al miglior film d’animazione. La Disney faticava ad adattarsi al 3D che stava soppiantando l’animazione classica mostrandosi qualcosa di più che una moda passeggera. La Pixar invece se la passava benone. Poi arrivò l’orco della Dreamworks con il deliberato intento di distruggere ogni sacralità dietro all’amatissimo mondo delle fiabe che tanto aveva successo tra i più piccoli. Spesso erano però gli adulti, affascinati dai buoni sentimenti e dalla morale, a proporre quei film ai figli.

Shrek no. Shrek arriva dal fango ruttando e scoreggiando, si prende a forza il primo Oscar della categoria, e cambia ogni idea preconcetta di “buona” animazione.

Come abbiamo già raccontato in questo lungo speciale, la Dreamworks ha azzeccato con il film una strategia di posizionamento geniale, ma costretta dallo strapotere della Pixar. Una sorta di mossa Kansas City: prendono tutto ciò che era considerato “buono”, antico, classico, una giusta visione per i bambini, e lo deformano. Lo usano per far ridere prima i genitori che accompagnano, poi i figli. Avevano capito che per il successo non bisogna parlare a chi vuole vedere il film, ma a chi può pagare il biglietto. Shrek si rivolge a entrambi.

Il film di Vicky Jenson e Andrew Adamson è stato come un sasso lanciato in uno stagno. Le onde che ha generato sono durate per anni. Non sempre la loro influenza è stata positiva. Ma, bene o male, ha toccato tutti i prodotti di animazione statunitensi dei grandi studios. È stata una rivoluzione citazionista, postmediale, dissacrante. Il pubblico è diventato cinico, non cade più nella “trappola” di una storia emozionante. Il film si arroga quindi il compito di innovare distruggendo ogni dogma, crea una distanza tra chi guarda e l’immersione passionale negli eventi. Cura però i personaggi in senso classico, perché si possano ancora amare.

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Per 20 anni Shrek è stato più di una storia, è stato uno stile narrativo. Che oggi ha trovato il culmine con film come Ralph spacca Internet, dove il concetto stesso di principesse Disney è sbeffeggiato, e il godimento della storia è dipendente solo dalla capacità di cogliere i riferimenti che lancia al pubblico adulto. 

Se il film funziona anche sotto il profilo della storia, è merito anche della dinamica tra l’orco verde e Ciuchino. Le cui voci sono affidate a Mike Myers ed Eddie Murphy. La regista Victoria Jenson spiega in un’intervista che in origine Shrek avrebbe potuto avere un accento scozzese (terra di origine di Myers), molto più pronunciato. 

Il primo doppiatore del personaggio doveva essere Chris Farley, venuto a mancare nelle prime fasi della produzione. Quando l’attore di Austin Powers salì a bordo fecero molti tentativi per trovare la giusta espressività. Così dice la regista: 

C’era una scena dove Shrek viene cacciato dalla sua palude dai suoi genitori, e trova un posto dove stare e riceve una lettera da suo papà. Mike decise di leggere la lettera con la voce del proprio padre, con l’accento scozzese. Io e Andrew ci siamo afferrati l’un l’altra e abbiamo chiesto “Mike, aspetta, ma tu sai fare questa voce?”. E lui rispose, “oh no, no volevo riservarla a un personaggio”. Era come Ciccio Bastardo (personaggio della serie di Austin Powers n.d.r). Gli ho detto “dai, è troppo bello. Se suo padre ha questo accento, perché non può averlo anche lui?”

Doppiarono il personaggio con uno spiccato accento. Presentarono a Steven Spielberg una prima versione del film. La risposta del produttore fu entusiasta: “È davvero uno dei film più piacevoli e divertenti che io abbia visto, ma perché lui parla con un accento? Può essere alienante per le persone”.

Allora ritornarono in sala di registrazione per ridoppiare il personaggio senza alcuna inflessione. Seguì una nuova proiezione alla presenza di Spielberg il quale, secondo Victoria Jenson, stavolta rispose: “È davvero uno dei film più piacevoli e divertenti che io abbia visto, ma Mike deve avere un accento!”. I due registi si guardarono perplessi e risposero che l’attore sapeva fare bene l’accento Scozzese. “Sì, ma c’è qualcosa d’altro? Tipo tedesco?” Gli fu ribattuto. Allora decisero di dare carta bianca a Myers e lasciarlo libero di interpretare Shrek come meglio preferiva. Arrivò così l’iconica parlata definita “scozzese leggero”, nata come un compromesso, ma assai azzeccata per il personaggio. 

Eddie Murphy invece venne coinvolto sin dalle prime fasi del progetto. Si confrontò con gli animatori ancora prima di avere le scene complete. Era chiara la forma che avrebbe preso Ciuchino in sala di doppiaggio. Tutte le sessioni di registrazione di Murphy erano riprese in video proprio perché il comico mentre parlava interpretava il suo personaggio. Volevano quindi usarlo come riferimento per l’animazione finale, ma anche godersi l’esilarante performance.

Con i sequel e gli spin-off la formula di Shrek si è annacquata. Non tanto per i demeriti dei singoli titoli (nonostante fossero ben lontani dalla grandezza), ma perché con il suo successo non era più l’outsider arrabbiato. Era diventato il nuovo status quo.

Quella dei primi due capitoli è una formula vincente proprio perché non replicabile. Non si può slegare questo film, la sua importanza, rispetto all’epoca in cui è arrivato. Oggi il gioco non reggerebbe più di tanto, inizierebbe a sembrare vecchio, distante dal gusto odierno. Ma Shrek fu anche un esempio di totale libertà, di voglia di sperimentare e giocare senza aspettarsi niente in cambio.

Come sottolineato dalla regista, quando iniziarono a lavorare sul film erano guidati dall’incoscienza dei principianti. Molti infatti non avevano mai lavorato sul 3D, capirono che la quantità di lavoro era tale da doverla dividere tra due registi i quali, a loro volta alle prime armi, si trovarono con loro stupore ad approvare modelli della struttura dei personaggi senza capire il perché. Creare un franchise di successo non era neanche nei piani. Proprio questa leggerezza d’animo rispetto a quello che sarebbe dovuto accadere dopo permise scene coraggiose, come l’eliminazione di Farquaad per il lieto fine.

Fonte: comicbook

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