Heat 2, il romanzo ad opera del regista Michael Mann che funge da vero e proprio sequel di Heat – La sfida, capolavoro del 1995 da lui diretto, è da pochi giorni disponibili nel mercato USA. Le sue vicende si collocano un giorno dopo gli eventi del film, con un Chris Shiherlis [Val Kilmer] ferito e intenzionato a fuggire da Los Angeles a tutti i costi. Ma la storia si sposta anche nei sei anni precedenti agli eventi centrali di Heat, riprendendo alcuni personaggi. Il lungo prologo racconta infatti gli anni formativi della banda di rapinatori di McCauley [Robert De Niro] e la sua vita, che include il suo primo amore, una donna cresciuta nei cartelli della droga che lo ha aiutato a trovare un modo per sottrarre i proventi agli spacciatori.

In una lunga intervista con Deadline, alcuni di coloro che hanno lavorato al romanzo hanno svelato diversi retroscena sulla sua creazione. Vi riportiamo i principali.

La genesi di Heat 2

Shane Salerno, sceneggiatore/agente editoriale la cui Story Factory ha organizzato l’accordo per il romanzo, ha raccontato cosa il spinto il regista a scrivere Heat 2:

Si trattava di un titolo altamente riconoscibile e conosciuto a livello globale. Michael era preoccupato di fare qualcosa che si affiancasse a Heat, un film molto apprezzato. Poi ha controllato tutti i file. Il film, della durata di tre ore, raccontava solo una parte della storia che aveva negli appunti e nei file. È diventato un libro di oltre 500 pagine.

Salerno ha presentato dunque Mann a Meg Gardiner [co-autrice di Heat 2] dopo che il regista aveva letto il suo bestseller Unsub, e i due hanno subito legato. La scrittrice di romanzi gialli ha detto di aver considerato scoraggiante l’idea di rielaborare Heat, ma ben presto è stato chiaro che Mann aveva molta più storia da raccontare, con un modo organico per includere i residui dei personaggi dell’originale. “Aveva preparato le biografie dei personaggi principali per gli attori durante Heat“, ha raccontato Gardiner. “Quando me le ha inviate, è stato come aprire uno scrigno. Nessuna era più lunga di 10 pagine, ma erano estremamente vivide e non era come leggere una fedina penale. Erano le loro personalità e le vignette delle loro vite“.

Il metodo di lavoro di Michael Mann

Gardiner rivela poi come la voce secondo cui Mann sia ossessionato dall’autenticità nei suoi lavori è assolutamente vera: per scrivere il romanzo il regista ha inserito la collega nelle fonti che hanno informato i suoi racconti del crimine. Ecco le sue parole:

Abbiamo avuto una lunga conferenza telefonica con… diciamo un rapinatore di banche in pensione, che è stato estremamente utile e disponibile e ha istruito questa scrittrice di romanzi gialli che non ha mai fatto nulla di più in una banca che depositare un assegno. Se volete sapere qualcosa sui lavori in galleria, chiamatemi. Gli ho chiesto: “Da dove viene la fretta“? Mi ha risposto che arrivava quando stavano mettendo a segno un colpo e individuavano un punto debole nelle difese dell’obiettivo, un buco che potevano sfruttare. È stato emozionante. Se si vuole fare carriera in questo settore, è meglio pensare a queste cose.

Poiché Heat 2 si occupa del traffico sessuale a Los Angeles, Mann ha inoltre portato Gardiner in giro con i poliziotti. “Io e Michael siamo andati in giro con due sergenti della polizia di Los Angeles, attraverso alcune delle zone più difficili di Los Angeles“, ha raccontato l’autrice. “A un certo punto, ci siamo fermati troppo a lungo a un angolo e una prostituta ha lanciato una scarpa contro il camion perché stavamo ostacolando gli affari

La prima esperienza letteraria di un grande regista

Heat 2 rappresenta inoltre il debutto di Michael Mann in campo letterario. Il regista si sofferma dunque sulle differenze tra scrivere un romanzo e girare un film:

Ciò che è stato diverso in quell’esperienza, nello scrivere un romanzo rispetto a tutto ciò che ho fatto con il cinema, scrivendo una sceneggiatura, è stato quando… Questa è la mia esperienza personale, e non ho idea se funzioni così per chiunque altro o per chiunque scriva libri, ma quando sono entrato davvero nel vivo non c’erano dubbi. Sei dentro. E se qualcosa ti interrompeva ed eri fuori, eri davvero fuori, quindi non volevi che accadesse. Volevi davvero rimanere nella zona, e l’invenzione sarebbe avvenuta all’interno di quel flusso di concentrazione mentre scrivevi. Alla fine è successo che le idee sono venute fuori. All’improvviso, c’era qualcosa da ricordare di qualcuno con cui avevo parlato e che entrava in gioco, e poi c’è una libertà nella scrittura dei romanzi che in realtà non si ha quando si fa un film e si scrive una sceneggiatura. Cioè, se è autentica, si può prendere una tangente e un pensiero e un ricordo o un impulso per andare da qualche parte, e poi tornare indietro. C’è una libertà in questo.

Cosa ne pensate? Ditecelo nei commenti!

FONTE: Deadline

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