L’eredità di Schindler’s List, 30 anni dopo, è l’emblema della dialettica tra divulgazione a un pubblico ampio e fedeltà alla vera storia

A lungo Schindler’s List doveva essere un film di Martin Scorsese. Gli aveva proposto Steven Spielberg di lavorarci, e Scorsese aveva anche trovato lo sceneggiatore giusto per adattare il libro Schindler’s Ark da cui tutto era partito: Steve Zaillian. Fino a quel momento nessuno era riuscito a tirare fuori una storia da un libro che è un susseguirsi di fatti, nomi, documenti e resoconti. Zaillian invece ci era riuscito e Scorsese era pronto a fare il film, per quanto esitante. Essendo cattolico aveva potuto fare fronte alle critiche a L’ultima tentazione di Cristo ma non sapeva che cosa avrebbe potuto fare se l’avessero criticato per un film su una storia che riguarda gli ebrei. Quindi quando Spielberg, dopo aver girato altri film molto adulti e maturi come L’impero del sole e Il colore viola, gli parlò di voler fare lui quel film, Scorsese fu ben più che accomodante.

La cosa più cruciale sulla questione Scorsese l’ha detta recentemente in un’intervista a Deadline, cioè che se l’avesse girato lui magari sarebbe stato bello ma “non sarebbe mai stato il successo che è stato”. All’epoca della sua lavorazione era scontato l’opposto, che sarebbe andato male e quella frase di Scorsese centra un punto determinante: l’importanza del fatto che sia stato un successo. Senza questo successo da 96 milioni incassati in patria e un totale di 320 in tutto il mondo, Schindler’s List non avrebbe potuto dare un contributo cruciale a cambiare la maniera in cui l’Olocausto è ricordato e la sua memoria è tramandata. E perché questo successo arrivasse l’Olocausto è dovuto diventare un film di Spielberg. Il più duro, il meno riconoscibile, il più adulto e meno accattivante, ma pur sempre un film dotato di espedienti spettacolari e a suo modo positivo perché, come diceva Stanley Kubrick, parla di un successo, cioè di 600 persone che sono state salvate; là dove l’Olocausto è una storia di insuccesso, cioè di 6 milioni di persone che sono morte.

Uno dei più grandi critici dell’aspetto spettacolare è il regista austriaco Michael Haneke che ha più volte spiegato di trovarlo profondamente immorale. L’esempio che fa è quello della scena della doccia, in cui donne ebree nude sono spinte in un locale per fare una doccia tutte insieme e sono terrorizzate dall’idea di stare per morire. È un falso storico, gli ebrei non sapevano che le docce erano una scusa per lo sterminio, lo sa solo il pubblico. E proprio con questa consapevolezza la scena gioca, perché crea una tensione artificiale, fa andare via la luce, fa urlare e poi di colpo esce l’acqua. Era una vera doccia. Secondo Haneke creare suspense su qualcosa di veramente tragico equivale a trattare una tragedia come intrattenimento, e quindi è immorale. Ma ha senso fare qualcosa di immorale (sempre ammesso che lo sia davvero) per aumentare la diffusione della memoria sull’Olocausto?

L’impatto di Schindler’s List

Bisogna prima capire quanto effettivamente Schindler’s List ha cambiato la percezione dei fatti storici. Fin dagli anni ‘70 l’Olocausto veniva studiato nelle scuole americane ma la sua memoria e il ricordo annuale era più che altro una questione della comunità ebraica. Del resto i film sull’Olocausto non hanno mai incassato, ragione per cui Schindler’s List fu prodotto con pochissimo (considerato che era un film del regista di maggiore successo): 22 milioni di dollari. E questo senza che Spielberg stesso, il nome più grande coinvolto nella produzione, venisse pagato. Tuttavia solo la presenza di qualcuno come lui, il suo acume commerciale e la sua potenza politica, fecero sì che all’uscita del film Bill Clinton, allora presidente degli Stati Uniti, spingesse gli americani ad andare a vederlo.

schindler's list piano

L’impatto del film quindi è stato prima di tutto nei cinema, nella quantità di persone che ha attirato e in come abbia insegnato a molte persone che non lo sapevano, cosa sia stato l’Olocausto, come funzionasse e quale atrocità comprendesse nella pratica, risparmiando pochi dettagli cruenti. I premi vinti e poi la legittimazione culturale non hanno fatto che amplificarne la potenza. Da lì, una volta finito il film, Spielberg ha intrapreso una serie di attività perché potesse esserci anche un impatto concreto, come per esempio rendere disponibile Schindler’s List gratuitamente alle scuole, sia organizzando proiezioni mattutine apposite, che poi regalando copie in VHS alle principali scuole d’America, oppure adoperarsi per mostrarlo ai capi di stato. E il film piaceva, la grande conoscenza che Spielberg ha del pubblico e la maniera in cui ne sa intercettare il gusto, hanno reso il film sia di duro impatto che amato. Quel successo ha fatto passare il mantenimento della memoria dall’essere una questione della comunità ebraica a essere una questione di tutti. Per esempio per la trasmissione televisiva americana del film nel 1997 sulla NBC (canale gratuito) la Ford sponsorizzò la cosa, così che non ci fossero interruzioni pubblicitarie. Quella trasmissione televisiva del film fu vista da 65 milioni di persone e fu di fatto finanziata da una società fondata da un noto un antisemita che pubblicava articoli proprio contro i registi ebrei!

Oltre a questo Spielberg creò la Shoah Foundation, un progetto che ha raccolto negli anni ‘90 55.000 testimonianza di sopravvissuti all’Olocausto o testimoni dell’evento. Nessuno aveva mai messo insieme una tale mole di resoconti di prima persona dalle persone che hanno visto e vissuto la persecuzione nazista, ed è Spielberg in primis a sostenere che sarebbe stato impossibile fare la Shoah Foundation senza Schindler’s List, perché solo facendo quel film ha deciso di intraprendere una battaglia per “negare i negazionisti”. Oggi la fondazione non solo preserva e diffonde quelle testimonianze ma si è allargata e ne raccoglie di simili su eventi come il genocidio armeno e quelli avvenuti in Bosnia e Herzgovina.

schindler's list pistola

Imprecisione vs. divulgazione

Appurato che il film ha avuto un impatto grandissimo va aggiunto che sulla questione dell’autenticità storica e poi della spettacolarizzazione (che, lo ripetiamo, Spielberg ha tenuto al minimo possibile, adottando tantissime soluzioni di minimalismo che vanno nella direzione di uno stile semidocumentaristico per la prima volta nella sua carriera, ma è pur sempre Spielberg), storici come David Crowe, autore di un libro sulla vera storia di Oskar Schindler, hanno avuto pareri complessi. Crowe ad esempio sostiene che la storia sia ben diversa e che quella rappresentazione dell’Olocausto, come tutte le altre, sia teatro. Per esempio molto di quello che il film mette sulle spalle di Oskar Schindler e molti meriti che gli dà nella sua impresa, in realtà sarebbero di altri ebrei, il cui ruolo è minimizzato. Tuttavia lo stesso Crowe infine ammette: “Non è possibile negare il fatto che [Schindler’s List] ha avuto un impatto incredibile su tutto il campo degli studi sull’Olocausto”.

Similmente Marilyn Harran, che gestisce il dipartimento per l’educazione all’Olocausto della Chapman University, spiega che esistevano nove liste in realtà, confermando che ci fossero stati molti ebrei che hanno avuto ruoli cruciali nella loro redazione, eppure “il film ha avuto un ruolo incalcolabile nel rendere la storia di un aspetto dell’Olocausto accessibile a persone che ne sapevano pochissimo. Persone comuni hanno iniziato a capire che era qualcosa sulla quale volevano saperne di più […] e ha probabilmente portato a molte discussioni più ampie […] sulle diverse maniere in cui gli ebrei e gli altri bersagli del nazismo hanno lottato per resistere” .

Ancora oggi 30 anni dopo il trionfo del film alla notte degli Oscar del 1994 di Schindler’s List, il film continua a essere visto e discusso, da chi lo ritiene immorale, chi ne sottolinea le imprecisioni e chi non ne sa niente e scopre cosa è stato l’Olocausto. E per dirla con le parole di Marilyn Hannah: “Puoi questionare quello che vuoi di questo film, ma Spielberg ha chiarito che è una storia ciò che può sostenere la memoria”.

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