Tokyo Godfathers e il singolare spirito natalizio in Giappone

Il Natale si avvicina a grandi passi e una delle cose più belle è l’andirivieni, sugli schermi, dei film natalizi, spesso messi sullo sfondo come accompagnamento distratto delle giornate casalinghe e familiari che ci attendono. Tanto li abbiamo visti mille volte e li conosciamo a memoria, no? Certo, ogni anno ne escono di nuovi, che sgomitano per la nostra attenzione. Ma c’è anche posto, ogni tanto, per riscoprire qualche classico poco noto ai più, solo magari un po’ più esotico delle classiche commedie americane… Tokyo Godfathers è, assolutamente, uno di questi. Ma andiamo con ordine.

Gli appassionati di animazione giapponese, annualmente, si ritrovano con puntate ed episodi speciali delle proprie serie preferite ambientate a Natale, ma per come intendiamo e affrontiamo noi occidentali la festività in questione si tratta di episodi spesso astrusi e lontani da quel che ci aspettiamo da una storia ambientata attorno al 25 dicembre. Il motivo è presto detto: sebbene sia oramai in buona parte una festa commerciale un po’ in tutto il mondo, in occidente l’elemento religioso è comunque imponente e importante, mentre quello laico ha una componente familiare imprescindibile; a Natale si sta o ci si ricongiunge con la famiglia, da che mondo e mondo, ed è un classico delle storie del genere, da Mamma ho perso l’aereo a Hawkeye. Anche le pellicole dal tono romantico hanno comunque al loro interno questa componente, stemperata all’interno di tradizioni familiari incontrovertibili. Del resto, per festeggiare con gli amici esiste il Capodanno!

Ebbene, in Giappone, “tradizionalmente” è diverso: la festività del Natale è una cosa relativamente nuova, un po’ come Halloween nel Belpaese, se vogliamo, e declinata in modi spesso impropri. In un paese a maggioranza buddista e shintoista ma con un forte sincretismo religioso, vengono presi e recepiti dalla massa gli elementi più affini e piacevoli, per poi rielaborarli nel proprio contesto, in un tessuto culturale che ha visto davvero la diffusione del Natale solo dagli anni ’50 in poi. Nel paese del Sol Levante la festa da passare in famiglia è il Capodanno, e il Natale in famiglia è qualcosa per bambini e genitori: i giovani ne approfittano invece per viverlo come una festa all’insegna dell’amicizia e dell’amore. Poche cose sono romantiche, nell’immaginario nipponico da pubblicità, come baciarsi a Natale. Un ribaltamento di prospettive puntualmente riflesso negli anime, in cui le varie ship finiscono per baciarsi sotto il vischio o passeggiare romanticamente sotto la neve che cade. Vi forniamo un esempio perfetto (e molto lucido) di questa visione: lo speciale natalizio di Aggretsuko, in cui è mostrata con precisione chirurgica la dicotomia fra l’approccio delle famiglie al Natale e quello dei single, tra la caratteristica ansia sociale e interrelazionale, il bisogno di contatto umano e le idiosincrasie da social più attuali. Il risultato, per noi cresciuti con un altro tipo di cinema natalizio ma che amiamo manga e anime, è straniante e relativamente poco soddisfacente, tranne in rari casi.

Uno di questi è sicuramente Tokyo Godfathers, del mai troppo lodato e compianto Satoshi Kon, scritto a quattro mani con un altro grandissimo nome della cinematografia animata nipponica, Keiko Nobumoto, scomparsa proprio in questi giorni e a cui dedichiamo questo articolo. tokyo-godfathers-poster Nella piccola – ma assolutamente significativa – filmografia di Kon, Tokyo Godfathers assume un carattere particolare: non sono presenti elementi fantastici o fantascientifici (se escludiamo gli elementi metacinematografici presenti nei titoli di testa e di coda), né la trama tiene col fiato sospeso con le venature thriller tanto care al regista. Si tratta di uno spaccato di neorealismo giapponese piuttosto insolito, soprattutto in animazione, portato su schermo con aspra ironia e chiari riferimenti al cinema che fu. Il risultato: una fiaba moderna travestita da dramma con cui Kon diventa il miglior emulo di Frank Capra. L’affresco è quello di una Tokyo di inizio millennio, con tutte le sue contraddizioni, le luminarie e il consumismo “all’americana”, fatto di torte alla panna e pollo fritto, consumato sullo sfondo di una metropoli in cui lo stigma sociale è tanto radicato quanto accumulato sotto i tappeti buoni. Là dove le luci al neon non arrivano, nei vicoli, tre emarginati, tre senzatetto e senza famiglia, trovano in mezzo all’immondizia una neonata. È l’inizio della rocambolesca avventura di una famiglia alla ricerca della famiglia: quella della bambina e, inconsapevolmente, della propria.

Al di là degli altissimi meriti tecnico-artistici (Kon non ha bisogno di presentazioni, e il fatto che abbia ispirato pesantemente cineasti come Darren Aronofsky la dice lunga) quel che risulta più interessante in Tokyo Godfathers è la sua ambientazione e il suo andamento, davvero atipici all’interno del panorama degli anime,scevro com’è di fan service. Meraviglioso il contrasto tra il realismo delle ambientazioni e del tessuto sociale (intriso di obblighi, non detti, ipocrisie, ma anche tanto sentimento sincero per quanto spesso inespresso o difficile da esprimere) e la parabola delle continue coincidenze, di quel senso di Provvidenza (con la “p” maiuscola) che riporta alla mente l’inspiegabile miracolo del Natale, quello che mette le cose a posto – se solo lo vogliamo – e che ci rende tutti più buoni, anche se siamo pieni di colpe e sensi di colpa. L’umorismo serpeggia in continuazione ma è amaro, ironico: quel che accade alla fine della scena del conbini (il tipico mini market nipponico) da questo punto di vista è emblematico e lascia davvero di stucco.

Kon e Nobumoto, si dice, hanno voluto creare una sorta di remake contemporaneo de In nome di Dio, singolare adattamento del 1948 dell’omonimo Three Godfathers, romanzo di inizio secolo di Peter B. Kyne che tanto cinema ha ispirato, raccontando in modo sempre diverso la storia di tre fuorilegge alle prese con un imprevisto neonato da accudire, a ogni costo. Passano le epoche, cambiano le ambientazioni, non cambiano i sentimenti di fondo che muovono i protagonisti, involontariamente tesi verso un riscatto grazie a un inconsapevole innocente che permetterà loro di ribaltare le loro vite e porre rimedio agli sbagli passati. Il film incasella tutto nei punti giusti, stupendo qua e là per le sottigliezze psicologiche più che per gli snodi di trama, spesso (volutamente) telefonati e strapieni di “provvidenziali” deus ex machina. È un film di Natale, del resto: un bel film di Natale, un insolito film di Natale.

Ora che è stato inserito nel catalogo Netflix giusto in tempo per le feste, non possiamo che consigliarvelo.

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