È comparsa in questi giorni su La Stampa un’intervista al Ministro Franceschini, il cui si parla di come il ministero abbia da poco iniziato a sfornare i decreti attuativi della nuova legge cinema (non tutti ma una parte).

Significa che da poco quei provvedimenti che ripensano tutte le norme che regolano i rapporti tra produzione, distribuzione, esercizio e lo stato, hanno un’attuazione (tempi, quote, modalità, istruzioni per fare richiesta ecc. ecc.) e tra poco saranno attivi
L’intervista era però centrata più che altro sul tema della letteratura, delle piccole librerie e dei grandi giganti. Siccome i colossi sono più o meno gli stessi soggetti considerati tali anche nell’audiovisivo (Amazon) la conversazione è sfociata quasi subito nel rapporto tra Netflix e Amazon Prime con l’ecosistema culturale italiano.

Qui il Ministro Franceschini ha sostenuto che è al vaglio la possibilità di obbligare questi over the top (società straniere che operano in diverse nazioni) a programmare una certa quota film e serie tv italiane.
Il riferimento è al fatto che tra i provvedimenti della nuova legge cinema ce ne sono alcuni che già obbligano le televisioni canoniche a farlo, sia Rai che Sky, e a farlo in prima serata. È il “modello francese” (o meglio un’imitazione dei principi che regolano la legge francese), quello che secondo il ministro ha risollevato l’industria di quel paese e che ha deciso di applicare anche da noi, per quanto il nostro rapporto con cinema e tv non sia assolutamente paragonabile a quello d’Oltralpe (altra affluenza in sala, altro numero di strutture, altro posto occupato dal cinema nella cultura e nell’identità nazionali, visto che l’hanno inventato loro).

La parte che più ha colpito è stata per l’appunto quella dell’obbligo degli over the top a programmare film e serie italiane.

Netflix avrà quote di programmazione e obblighi di investimento come le tv tradizionali. Stiamo lavorando su diverse ipotesi per costringere anche tutte le piattaforme online a valorizzare prodotti italiani, su home page, menu, banner”.

Questi player sono il grande elemento di novità dei nostri anni e non sono privi di problemi, non pagano le tasse nei paesi in cui operano (risiedono in Irlanda o Lussemburgo, dove costa meno, pagano le tasse lì e solo una percentuale molto piccola da noi) e distruggono il mercato con prezzi aggressivi e offerte super competitive. Per rispondere alla cosa però sembra che il Ministro voglia obbligarli a programmare quel che facciamo. Eppure, una volta aperta la versione italiana, sia Netflix che Prime hanno messo in catalogo una parte dei film e delle serie italiane e hanno tutto l’interesse a catturare pubblico nostrano, quindi, se interessa, a programmare prodotti nazionali. Il punto è che non interessano, almeno non come il resto di ciò che hanno da offrire (non è che non ci siano film o serie tv italiane, ma non nella quantità o in evidenza come quelle straniere).

Dunque di fronte alla scelta tra cambiare quel che produciamo (ovviamente migliorandolo) o obbligare i giganti a programmare quel che facciamo senza cambiarlo, sembra che si voglia optare per la seconda. Nessuno insomma dice la verità, che per quel pubblico cui si rivolgono Netflix e Amazon film e (molte anche se non tutte) serie italiane non sono a livello competitivo, anzi quel che il ministro dice è:

Sono rimasto allibito nel leggere che avremmo danneggiato la raccolta pubblicitaria o anche che cinema e fiction italiani non sono in grado di reggere la concorrenza. Il tax credit al cinema e l’obbligo di trasmissione e di investimento servono appunto a migliorare la qualità”.

Le reti televisive gliel’hanno detto che quei film non li vedono in molti, ma la risposta è che imponendoglieli miglioreranno. Si intende che abituando il pubblico a fruirne impareranno ad apprezzarli. Da tutta l’intervista si intuisce che la visione del ministro non è diversa da quella di buona parte dell’industria, cioè che il pubblico è cambiato (vero) e che i film continuano ad andare bene, sono gli operatori stranieri che distorcono il mercato e abituano al peggio. La nostra tradizione e il nostro modo di produrre sarebbero un tesoro da salvare contro l’arrivo di un prodotto straniero dozzinale. Sono punti di vista e gusti, è facile capirlo, e non sarebbe difficile opporre a questo qualcuno tra i titoli più interessanti tra quelli stranieri, ma non è quello nemmeno ciò che il ministro davvero intende, perché poco dopo afferma:

Abbiamo creato una moratoria per il 2018. Così avranno il tempo di produrre film che possono reggere il prime time

Quindi effettivamente riconosce che molti prodotti non vanno bene per il prime time televisivo ma non si comprende come mai nel 2018 dovrebbero essere pronti quelli che invece vanno bene. Come mai dovrebbe cambiare la produzione? In base a quali regole? Perché mai i produttori dovrebbero attrezzarsi per servire i network televisivi? Tra tutte è l’affermazione più velleitaria e ipocrita. Nessuno può credere che davvero sia un rimedio.

In realtà quel che tutti abbiamo sperimentato è che proprio l’ingresso di player stranieri ha dato una svegliata alla nostra produzione (anche se piccola). Le serie di maggior successo italiane si sono viste su Sky (che non è italiano anche se ha una regolare sede italiana) e alla loro uscita la Rai affermava che “mai vedrete prodotti così sulle reti RAI”, perché li giudicava vergognosi e apologetici verso i criminali. Salvo che poi Romanzo Criminale o Gomorra vanno regolarmente in replica sulle loro reti. E lo stesso è accaduto con Boris. Di fatto hanno aperto una strada anche se pochi la seguono.

Netflix ha investito nella produzione di Suburra (un successo molto inferiore alle aspettative) e ora su una nuova serie sulle baby squillo in cantiere. Guardando al catalogo Amazon nel resto del mondo è probabile che farà lo stesso. Certo sono gocce nel mare (una o due serie l’anno) eppure sono i prodotti migliori che vediamo. Si direbbe da questo che quando gli over the top o i player di origine straniera producono quel che devono programmare danno vita ad alcuni dei prodotti migliori italiani. Lo stesso lo spirito che anima il ministero è obbligarli a programmare quel che rifiutano di mettere sulle loro piattaforme.

Non è grave. Chi non li ama continuerà a non guardarli come prima, prima serata o no, banner in home page o no. E chi vuole fare prodotti diversi, nuovi, più vicini agli standard internazionali li farà e magari avrà più successo (purtroppo non è sempre così, ma questo è sempre accaduto del resto). Dispiace solo che le linee guida del ministero non incitino ad inseguire il mercato e i gusti del pubblico ma invochino la conservazione, non spingano al cambiamento ma tutelino l’immobilismo.

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