Il nuovo reportage pubblicato da Vice e incentrato sul coinvolgimento della CIA nella realizzazione dell’acclamato Zero Dark Thirty risulta alquanto “povero” dal punto di vista dell’effettiva valenza giornalistica, o quantomeno “morale”.

Delle collaborazioni fra Hollywood e la Central Intelligence Agency abbiamo parlato svariate volte sulle pagine di BadTaste, ad esempio proprio in relazione alla pellicola di Kathryn Bigelow (qua e qua) che di Argo (qua e qua).

Nulla di nuovo sotto il sole perché, da una parte, c’è un’organizzazione governativa ovviamente interessata alla maniera in cui viene rappresentata sul grande schermo quando il mondo del cinema decide di narrare storie che la vedono coinvolta sulla base di documenti “declassificati”; dall’altra le necessità di chi vuole raccontare un fatto realmente accaduto nella maniera più simile alla realtà del suo svolgimento.

Proprio a tal proposito, la Bigelow a ridosso delle polemiche scaturite a fine 2012, inizio 2013 a margine della release della sua opera, accusata di appoggiare la CIA, ebbe modo di affermare:

Chi tra noi lavora nelle arti sa bene che la raffigurazione non significa sostegno ed endorsement. Se lo fosse, nessun artista potrebbe dipingere pratiche inumane, nessuno scrittore potrebbe scriverne, nessun regista potrebbe parlare di questioni spinose di attualità. Confondere la raffigurazione con l’endorsement è il primo passo verso lo schiacciare le capacità e il diritto degli artisti americani di gettare una luce su situazioni oscure, soprattutto quando tali situazioni sono avvolte da veli di segretezza e offuscamento da parte del governo.

Nello specifico dell’articolo di Vice, realizzato sulla base di documenti resi accessibili sulla base del Freedom of Information Act viene spiegato come Mark Boal, lo sceneggiatore del film ed ex giornalista, fosse già in contatto con la CIA prima dell’effettiva morte di Osama Bin Laden, dato che stava lavorando a un film, poi abortito, focalizzato sul raid alle caverne di Tora Bora. Boal avrebbe avuto accesso alla cerimonia in onore dei caduti durante l’attacco al compuond di Bin Laden dove l’ex boss della CIA Leon Panetta (interpretato da James Gandolfini nel lungometraggio) avrebbe divulgato informazioni classificate durante il suo discorso.

Bigelow e Boal, l’anno successivo, avrebbero poi incontrato degli altri dirigenti dell’agenzia, offrendo peraltro dei regali, alcuni dei quali sarebbero stati accettati, altri rifiutati. Lo sceneggiatore avrebbe poi riesaminato lo script insieme a dei funzionari della CIA per assicurarsi di non aver rivelato o esposto eccessivamente le identità delle persone coinvolte. Alcuni dettagli, come la presenza dei cani nei processi di “Enhanced Interrogation Techniques” – altresì dette torture – sono stati rimossi perché la CIA ha fermamente negato che queste situazioni si siano mai effettivamente verificate.

Ci sarebbe molto da dire circa l’operato della CIA, ma in merito alle scelte e alle azioni dei filmmaker, dei privati cittadini che non ricoprono alcuna carica pubblica, il pezzo di Vice non fa emergere nulla di particolarmente sconvolgente, se non la necessità dei realizzatori di dover mediare fra le necessità narrative, la sicurezza delle persone coinvolte e di gestire i rapporti di “buon vicinato” con chi di quella storia è stato agente.

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