È morto a 103 anni, il che significa che era poco più giovane del cinema stesso, Douglas Slocombe, direttore della fotografia britannico, in seguito importato da Hollywood.
È noto per aver lavorato ai primi 3 film di Indiana Jones, per quell’incredibile chiarezza della sua fotografia (sembra non ci siano praticamente mai ombre se non quando hanno un ruolo determinante), per l’importanza della composizione nelle inquadrature (si pensi a quante dai film con Harrison Ford sono diventate iconiche, o a quante scene d’azione molto complesse risultano chiare) e per il suo uso dei bianchi. Ma Slocombe è stato un tecnico del cinema che ha attraversato stili e snodi fondamentali del cinema.

Inizia a lavorare come direttore della fotografia nel 1940 e già solo 7 anni dopo si ritrova ad illuminare le Ealing comedies, cioè una serie di film leggeri realizzati presso gli Ealing studios britannici da un gruppo ricorrente di tecnici e attori, una specie di compagnia che tra il 1947 e il 1957 ha definito uno stile, dei temi e un certo ardore tecnico nei confronti delle risate. La più nota delle Ealing comedies forse è La signora ammazzatutti (da cui i Coen hanno tratto il loro remake The Ladykillers) e il più noto degli attori che vi prendevano parte è Alec Guinness. Con lui Slocombe ha girato Sangue blu, film passato alla storia perché Guinness interpreta 8 personaggi diversi e ad un certo punto Slocombe riesce a tenerne inquadrati contemporaneamente 6, con un effetto speciale rudimentale di sua invenzione (era il 1949). Oscurando di volta in volta parti dell’obiettivo riusciva ad esporre selettivamente solo una porzione di pellicola, potendo girare separatamente 6 volte la stessa scena, cambiando posizione e costume a Guinness. Per essere certo che nessuno toccasse la macchina da presa (per la riuscita è essenziale che sia sempre nella medesima posizione) dormiva nel teatro di posa accanto ad essa. Aveva 36 anni e quella era la fase della sua vita che più di tutte ha inciso nel mutamento del linguaggio filmico.

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Da lì è arrivato il cinema d’autore e film più ambiziosi, con più risonanza internazionale, come Il servo girato per Joseph Losey oppure la commedia di Roman Polański Per favore non mordermi sul collo. Con film come questi lentamente Slocombe si fa un nome e approda ad Hollywood dove potrà misurarsi con il cinema d’azione degli anni ’70. I film più rilevanti del periodo sono Un colpo all’italiana (The italian job) e Rollerball, ma sono anche gli anni del successo mostruoso di Jesus Christ Superstar. Qui comincia a farsi sempre più evidente il tratto saliente di questo cineasta: l’uso del bianco. Se in Rollerball dominano i toni chiari, in un futuro che solitamente all’epoca tendeva ad essere molto saturo (si pensi a La fuga di Logan o Il pianeta delle scimmie), già nel musical sulla vita di Cristo la sua Galilea è più bianca che gialla, il contrasto con il nero Giuda è abbagliante e le sfumature con cui rende quella che, in teoria, è un’unica grande ambientazione sono magistrali.
Si vedrà però con ancora più forza in Il grande Gatsby come, in un film che non ne avrebbe bisogno, Slocombe sappia enfatizzare i toni chiarissimi, lavorando sui contrasti tra purezza e passione, perdizione e desiderio di un domani migliore.

È allora così, con questo bagaglio che a circa 70 anni approda a quelli che sono i suoi film più noti, i primi tre Indiana Jones. Non stupisce dunque che il primo di questi, I predatori dell’arca perduta, sia giocato sul bianco del Cairo, delle tuniche e delle vesti, unite al contrasto con il sangue rosso che le macchia. Il tempio maledetto e L’ultima crociata saranno già un’altra storia, completamente differenti dal primo per fotografia e colori (esagerati come un horror di Bava nel secondo, molto più moderati nel terzo), un’altra fase professionale, quella della Hollywood ai massimi livelli produttivi, ma la maniera in cui in I predatori unisce il recupero del cinema d’avventura, con le foreste dell’apertura, all’esotico nordafricano con i toni e le scelte cromatiche sviluppati negli anni ’70 rimane magistrale.

A più di 70 anni Slocombe è all’apice della carriera e firma i suoi film dal maggiore incasso, incluso l’unico 007 fuori dal canone ufficiale: Mai dire mai, a quel punto il suo tocco e i suoi bianchi scompaiono a favore di un lavoro più invisibile.

Da rivoluzionario del cinema britannico a mestierante degli studios hollywoodiani la sua carriera è un esempio delle varie fasi e dell’equilibrio che è esistito in quegli anni tra cinema europeo e statunitense.

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