C’è una bizzarra causa legale che ha coinvolto i due celebri robot cinematografici WALL-E e C-3PO. Non direttamente, si intenda, loro non hanno fatto niente di male. Ma, come rilevato dall’Hollywood Reporter, il loro stato di celebrità della cultura popolare, potrebbe aiutare a definire il futuro delle regole della proprietà intellettuale sui robot.

Non è passato molto tempo dalla storica sentenza della Corte Suprema Usa sul copyright al termine di una causa che ha contrapposto Google e Oracle. Uno scontro da 9 miliardi chiuso in favore del libero utilizzo di alcune linee di codice Java per la creazione, da parte di Google, del celebre sistema operativo Android.

Con una portata molto minore, e dai toni decisamente più bizzarri, altre due imprese tech si stanno scontrando sul tema del copyright. La causa è arrivata di fronte alla corte federale della Pennsylvania. Questa volta però la disputa coinvolge i robot dotati di intelligenza artificiale. 

L’americana Digital Dream Labs LLC ha fatto causa alla cinese Living Technology LTD per avere copiato le forme, alcuni elementi grafici, suoni e animazioni coperti da diritto d’autore. Di fatto sul banco degli imputati è il robot giocattolo EMO. La sua forma ha un cubo come testa, con due occhi quadrati blu, due gambe composte di quattro aste che muovono i piedi su uno skateboard. La forma del “viso” è, a detta della Digital Dream Labs LLC troppo simile a quella dei giocattoli di loro proprietà VECTOR e COZMO.

Ed è qui che entra in gioco WALL-E. La difesa cita infatti in una nota il celebre robot, insieme a C-3PO e Numero 5 (Johnny 5) di Corto Circuito. L’argomentazione è infatti che si sta parlando di robot dalle sembianze umane. In quanto tali, possiedono degli elementi che non possono essere messi sotto copyright. Rispondendo all’accusa la difesa da anche notare come gli occhi realizzati con pixel luminosi e blu, non siano un’esclusiva dell’azienda che ha fatto causa. Sono infatti molto simili a quelli di BURN-E del film WALL-E. Non conta quindi il singolo elemento, secondo questa risposta, ma l’interezza del robot nelle sue parti, considerando nella identità distintiva anche le funzioni che esercita e le animazioni che possiede.

Ma la questione non è finita qui. L’azienda cinese ha argomentato accusando la rivale di volere mettere un copyright al concetto di robot. Quest’ultima ha ribattuto tirando in ballo proprio gli esempi fatti dalla difesa e rovesciando il punto di vista. Ecco una parte della nota:

Fornendo esempi di vari altri robot, Living.Ai (il marchio dei robot EMO) dimostra che, nonostante l’idea di robot non sia proprietà intellettuale tutelabile, i robot che appaiono nei film – come C- 3PO® e R2-D2® in Star Wars® o quelli in WALL-E® – hanno volti e tratti distintivi e riconoscibili. Living.Ai non fornisce alcuna prova o conferma che LucasFilm® o Disney® abbiano reso di pubblico dominio i loro diritti sui progetti di questi robot.

È importante notare l’enfasi sul simbolo del marchio registrato. Le property citate sono inoltre ottimi esempi di come a partire da quel design siano stati fatti poi profitti dalla vendita di giocattoli, alcuni dei quali anche automatizzati come piccoli robot da casa.

Insomma, l’industria del cinema è entrata indirettamente in questa causa dagli sviluppi decisamente interessanti. Come sottolineato dall’Hollywood Reporter i robot che tanto amiamo e che ben conosciamo potrebbero diventare un caso di studio per i giudici delle corti federali. È probabile che partirà da questo punto, in futuro, le discussioni e le posizioni sulla tutela del copyright della sempre più florida industria robotica. 

Cosa ne pensate di questo bizzarro caso? Fatecelo sapere nei commenti!

Fonte: Hollywood Reporter

Classifiche consigliate