Benedict Wong racconta la tortuosa strada che l’ha portato a Doctor Strange nel multiverso della follia

Pochi personaggi secondari del mondo Marvel hanno fatto più strada di Wong. Subito clamoroso fin dal primo Doctor Strange e poi diventato la sua spalla fissa, non manca mai quando compare. Linea umoristica, spesso, ma anche dotato di gran complessità e diventato con la scomparsa di 5 anni di Strange anche lo Stregone Supremo. Un’interpretazione piena di carisma di quello che, altrimenti, poteva essere un qualsiasi passaggio davanti all’obiettivo. Merito di Benedict Wong (ironia della sorte l’omonimia) che lo impersona con impassibile grazia e che da anni è sulle barricate per cambiare la situazione della rappresentazione delle minoranze di origine asiatica.

Anche perché lui per primo ha vissuto certi momenti…

Per questa intervista ho visto i primi 20 minuti del film, e ovviamente Wong c’è e sempre come Stregone Supremo. L’abbiamo visto comparire in tantissimi degli ultimi film, ma qui è più centrale, cosa è lecito attendersi?

“Il fatto che non è più un bibliotecario. Ha il mantello e ha la pressione del leader, ha i suoi studenti a cui insegna come diventare maghi. L’unica cosa che non ha realizzato che è adesso deve decidere come e se far diventare la scuola una fortezza”.

Era nato come un personaggio marginale e invece è sempre più centrale. Qualora tu volessi lavorare per agevolare un film o una serie spin-off solo su Wong come dovresti fare? Avresti voce in capitolo?

“Guarda non lo so. So solo che in molti chiedono uno spin-off su Wong”

Ne sono certo.

“Qui però entrano in gioco discorsi diversi, di opportunità e di piedistalli per mettere in risalto cineasti e attori asiatici o del sud est asiatico. Chi lo sa. Vediamo. Ma se si farà posso immaginare che sarà pieno di persone di colore. Vedremo… Vedremo…”.

So che sei molto attivo sul fronte delle maggiori opportunità per attori asiatici o di origine asiatica…

“Certo, il pubblico c’è, guarda che risultati Everything and Everywhere All At Once, c’è un appetito per storie di persone di origine asiatica, bisogna continuare a parlarne perché aumentino le possibilità. I talenti ci sono, semmai sono le possibilità di farli emergere a mancare”.

Per te è stata dura immagino.

“Dura? Non riuscivo a farmi notare in nessuna maniera. Sono di Salford, sono andato a Manchester e lì non trovavo niente, nemmeno un ingaggio, sono dovuto andare a Londra e mi facevo anche ore di treno per provini di ruoli piccoli. Una volta pensa che mi hanno fatto aspettare 1 ora e 40 minuti per una parte da una battuta, ovviamente come immigrato clandestino, nella sit-com Phoenix Nights, e poi nemmeno mi hanno provinato. Nel Regno Unito la situazione è veramente terribile. In quel caso mandai una lettera alla direttrice del casting congratulandomi per tutto quanto ma precisando che io ero meglio di quel trattamento, e lo avevo fatto più che altro per dirlo a me stesso. Feci in modo che le arrivasse e in seguito ho saputo da un amico che quella stessa persona, facendo una lezione ad aspiranti attori, ha raccontato di un attore cinese che si sentiva più grande delle scarpe che portava. Capito? Cinese! Io sono di Salford! Nemmeno mi hanno sentito, questo dice tutto quello che c’è da dire davvero”.

La cosa ti buttò giù?

“Presi il telefono e dissi al mio agente che basta, era finita lì, chiudevo la mia carriera. Non valeva la pena di andare avanti. Poi, coincidenza, pochi giorni dopo mi dissero che ero passato ad un provino già fatto, quello per Piccoli affari sporchi di Stephen Frears. Una parte vera. Mi ha salvato a tutti gli effetti. Ironia della sorte anche lì ero un immigrato clandestino ma almeno era una parte vera! E poi era il primo film scritto da Steven Knight. Insomma fu un gran colpo. Ma se non fosse accaduto quello sicuramente non sarei qui.
Sai magari chi mi vede pensa che la mia carriera vada alla grande, ma c’è stato un momento che ero appeso ad un filo e sarebbe bastato niente per non farcela. Così mi chiedo: e gli altri? Io ho avuto un’opportunità per un colpo di fortuna ma gli altri? Bisogna assolutamente creare più opportunità”.

La comunità afroamericana ad esempio è molto forte e si fa sentire ma non mi sembra sia lo stesso per gli attori di origine asiatica. Siete in contatto?

“Più in America che nel Regno Unito. Ricordo quando sono andato agli Unforgettable Awards, un premio cinematografico per la comunità di origine asiatica che esiste da 30 anni, stare in quella stanza con attori, registi e sceneggiatori di origini asiatiche mi faceva sentire un’aria frizzante di possibilità. Con me c’era anche Jessica Henwick, che conosco bene perché anni fa aveva interpretato mia figlia in una serie tv per ragazzi e che ora è sulla cresta dell’onda, con lei ci guardavamo ed eravamo sopraffatti, sembrava di stare nel futuro. In Inghilterra siamo lontanissimi da tutto ciò. Pensa che in Piccoli affari sporchi le uniche persone di colore sul set eravamo io, Chiwetel Ejiofor e uno stagista. Pensa quanti grandi filmmaker ci perdiamo perché non ci sono opportunità per farli emergere?”

Doctor Strange nel multiverso della follia sarà nelle sale dello stivale a partire dal 4 maggio, mentre in quelle americane dal 6 maggio.

Trovate tutto quello che c’è da sapere sul lungometraggio diretto dall’acclamato Sam Raimi nella nostra scheda del film.

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