Simone Bozzelli si è fatto notare subito per uno stile visivo particolare, prima con alcuni cortometraggi e poi dirigendo diversi videoclip tra cui “I Wanna Be Your Slave” dei Maneskin. A Locarno è stato presentato in concorso il suo primo lungometraggio (prodotto da Wildside), intitolato Patagonia. È la storia di un ragazzo candido, come lo definisce lo stesso Bozzelli, che si apre al mondo in un viaggio dentro alla comunità dei rave, accompagnato da qualcuno che è il suo opposto.

L’abbiamo incontrato al festival, subito dopo la proiezione del film.

Prima cosa: quel rave è ricostruito da zero o avete usato strutture esistenti?

“Tutto ricreato”.

Cioè avete portato voi le auto da ribaltare?

“Esatto. Abbiamo fatto una gran ricerca fotografica sui rave degli anni ‘90. Ma poi a molti di quelli moderni io ci ho partecipato ed erano così, tanto che le comparse sono miei amici venuti a ricreare quel contesto”. 

L’hai ricostruito perché fosse uguale a quelli cui hai partecipato o lo hai fatto in maniera stilizzata?

“Non credo di aver enfatizzato qualcosa, era tutto a servizio della sceneggiatura. La cosa che per me era importante semmai era levare tutto quello che uno già sa dei rave, come l’ambiente droghereccio, perché io per esempio le prime cose che ho visto quando sono andato a un rave erano i bambini, le buste di plastica che coprono le targhe, i giochi con il fuoco e gli abbracci”

patagonia simone bozzelli

Affetto & lamiere…

“Sì un po’, considera che l’immaginario rave è vicino a quello di Mad Max, quindi sì, pieno di lamiere e di acciaio, che vengono dagli scarti dei rifiuti delle acciaierie con i quali si fanno sculture a cui poi dare fuoco”.

Ecco, in quell’ambiente vai a mettere un protagonista a digiuno di cose del mondo. È venuta prima l’idea di raccontare un tipo così o è frutto della scelta dell’attore?

“Io quando penso al protagonista di un film penso come uno scrittore e parlo in prima persona. Qual è la mia stanza narrante? In questo caso sapevo che era un film che andava girato in prima persona. Quindi ho scelto che il protagonista era l’istanza narrante del film, quindi tutto quello che lo spettatore vede coincide con quello che vede il protagonista. Invece la sua psicologia è nata da una mia passione verso i personaggi letterari e cinematografici che sono candidi. Penso a Stefania Sandrelli in Io la conoscevo bene o a Bess di Le onde del destino. Mi piaceva la storia di un candido che incontra una persona un po’ meno candida o comunque una che si approfittasse di questa sua superficie così candida per riflettersi e piacersi”.

In che rapporto stanno le scelte visive del film con la sua storia? 

“Il film l’ho girato in 16mm, però la cosa che mi interessava non era tanto il risultato, quanto il processo, il fatto che io sto sul set e vedo un’immagine non ancora attendibile, una che poi al montaggio sarà diversa e ancora lo sarà dopo la color. quindi è un film che muta proprio anche a livello visivo per me. con il digitale invece avrei invece avuto già la previsualizzazione con color correction lì sul set”.

È incredibile quello che mi dici perché in realtà quando parlo con cineasti che magari per una vita hanno lavorato in pellicola e ora lavorano in digitale mi dicono il contrario, cioè che la svolta del digitale è che si può mettere mano continuamente al film!

“Io quando giravo in digitale arrivavo con una quantità di materiale esagerato, al montaggio”.

Cosa ti aspetti da questo film? 

“Questo film ha già fatto quel che doveva fare per me. L’ho fatto anche per esorcizzare una mia relazione difficile. Per il resto spero che sotto qualche profilo vada bene, che sia appunto un Festival o anche che incassi semplicemente un pochino di più di quello che ci si aspetta e possa dare la conferma a me o ad altri che un cinema fatto da ragazzi estremamente giovani si può produrre, soprattutto dandogli la libertà che ho avuto io sulla storia, perché non è scontata. Spesso i produttori fanno queste scommesse, però poi le fanno a metà, magari imponendo la canzone o imponendo la Star….”

Pensi di non essere quel tipo di cineasta che si muove con una certa confidenza tra questi compromessi? 

“No guarda: ho un appartamentino mio a Silvi Marina in Abruzzo e non faccio uno stile di vita dispendioso. Me ne sto a casa col cane, se devo fare lo shooter. Intendiamoci: è un lavoro che va benissimo ma non è per quello che mi sono messo a fare il regista. Io in realtà volevo fare il montatore nella vita. Piuttosto che fare il regista su commissione torno a fare il montatore. Se faccio il regista è per esplorare delle cose che servono a me e diciamo per non andare troppe volte dallo psicologo”.

A cosa stai lavorando?

“A La città dei vivi, l’adattamento del romanzo di Nicola Lagioia sul caso Varani, ma non sappiamo ancora se per un film o per una serie tv 

Te che preferiresti?

“Film. La televisione va bene eh, ma sento che questa è una storia perfetta per un film”

Patagonia sarà al cinema dal 14 settembre. Trovate maggiori informazioni sul film nella nostra scheda.

Classifiche consigliate