Il secondo festival più antico d’Italia (dopo Venezia) è un festival di cinema e montagna, il Trento Film Festival, arrivato all’edizione numero 70 con un successo che impressiona chi non lo conosce e che parla moltissimo di come il cinema non necessariamente mainstream, ma anzi molto settoriale, abbia una circuitazione e una capacità di trovare un pubblico (se trattato adeguatamente) in certi casi superiore a festival dai nomi più altisonanti. Il cuore è il concorso di documentari ma non sono chiusi al cinema di finzione, anzi.

Nato nel 1952 legato ad un convegno di alpinisti che organizzarono in parallelo una rassegna di filmati amatoriali (Super8 e 16mm), il Trento Film Festival fin dall’inizio lavora per superare i propri limiti quelli cioè dell’evento per appassionati.

Prima della pandemia, nel 2019, era arrivato a staccare 22.000 biglietti, poi un’edizione online e un’altra ibrida, con un successo imprevedibile anche per la stessa organizzazione: più di 10.000 utenti registrati sulla piattaforma utilizzata (Festivalscope) e 43.000 visioni online in una sola edizione per circa 120 film “e se consideri che una visione solitamente è uno spettatore e mezzo, perché molti vengono visti in coppia, siamo facilmente sui 60.000 spettatori” spiega Sergio Fant, dal 2010 a capo della programmazione del festival.
Quest’anno però il festival torna un’edizione al 100% fisica.

Non è possibile che non facciate niente di tutto questo successo online!

“Lo faremo, annunceremo a breve di un lancio di una piattaforma annuale, visto che i numeri ci hanno dato ragione, facciamo l’esperimento di non contrastare i colossi ma servire una nicchia”.

Immagino poi che avendo i diritti dei film per l’Italia fossero 43.000 visioni solo dal nostro paese

“Esatto, solo italiani. Siamo stati online per due settimane, guardavo i numeri e non ci credevo”.

Non erano solo utenti che già conoscevano il festival evidentemente. Come si arriva ad un successo simile?

“Il Trento Film Festival da decenni ha un sistema molto attivo di circuitazione delle opere durante l’anno attraverso una rete di sedi del Club Alpino Italiano e associazioni sparse per l’italia. Fatti conto che nel 2019 sono stati organizzati 150 eventi con film forniti da noi, ovviamente pagando di diritti ecc. ecc. Quindi abbiamo una rete che conosce bene il festival, e magari sono persone che non vengono a Trento ma hanno partecipato a Cuneo, Roma Bologna o Catanzaro. Cioè il Club Alpino Italiano sono 350.000 associati, tutti interessati alle montagne di default”.

Questo immagino vi tenga in salute e vi faccia punteggio per i contributi ministeriali.

“Guarda, noi a livello di finanziamento ministeriale siamo trattati come l’ultima delle rassegne delle seconde visioni. Se vai a vedere i tabulati dei finanziamenti ministeriali, riescono a darci pochi punti anche nella categoria “Storicità del festival”, e abbiamo 70 anni di storia alle spalle! Quest’anno il 65% del programma è in anteprima internazionale o mondiale. Tutti numeri che dovrebbero accreditarci ma poi vai a vedere e siamo in fondo alle classifiche. Ma non siamo solo noi eh tanti festival non sono considerati nonostante il lavoro.
La nostra fortuna è che la provincia di Trento è autonoma e può sostenere il festival con risorse alternative, inoltre abbiamo un’ottima rete di sponsor. Quindi non ci lamentiamo”.

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Cinema Vittoria, 2019

È complicato per un festival come siete voi avere anteprime mondiali o internazionali?

“Abbiamo un ottimo rapporto con molti distributori italiani (da I Wonder a Wanted ma anche Movies Inspired) e questo fa sì che abbiamo diverse anteprime italiane come La Panthère des Neige, che era a Cannes l’anno scorso, ma abbiamo anche Piece Of Sky e ci apriamo solo due mesi dopo l’anteprima mondiale, e lo stesso vale per Into The Ice che ha aperto CPH:DOC o Fire Of Love che viene dritto dritto dal Sundance. Tutti titoli che ci piazzano nei festival primaverili, senza dover aspettare 6 mesi o un anno che siano disponibili. Mi pare il risultato di un buon lavoro di collocazione del festival”.

La composizione del pubblico è adulta immagino…

“Sì come per tutti. L’età media dello spettatore di cinema lo sappiamo, è alta, ma a Trento c’è anche l’università, arriva pubblico anche da lì e poi ci siamo aperti a tutto il fronte dell’outdoor, la vita all’aria aperta, gli sport di montagna, l’arrampicata sportiva e le discipline à la page che hanno un pubblico più giovane. Considera che questo tipo di film sportivi quando vanno in sala hanno anche biglietti da 15 o 20 euro”.

Tipo Free Solo?

“Quello è il modello estremo e più riuscito di un genere che ha molti fratelli minori, anche film più brevi su singoli exploit, film sponsorizzati da marchi”.

Quindi voi siete un festival che esce più forte di prima dalla pandemia.

“Sì ma anche con una forte preoccupazione per questo successo dello streaming. Faccio il programma del festival da 12 anni, sono 10 anni che siamo in crescita costante, avevamo una percentuale di occupazione dei posti in sala, contando anche le proiezioni della mattina, del 75%. Vuol dire che le sale erano quasi sempre piene. E non sale piccole, il nostro cinema principale ha 450 posti. La pandemia ci ha preso nel momento peggiore. Lo streaming ci ha rincuorato ma dall’altra parte mi sono preoccupato perché ho un festival solo in sala e voglio riportare la gente al cinema. Ma vediamo i numeri del box office e sappiamo che non è automatico”.

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I festival, lo sappiamo bene, sì fanno con i film che ci sono disponibili quell’anno e in quel momento. Come si festeggia quindi un 70ennio?

“Celebrando il passato senza nostalgia. Ti faccio un esempio, abbiamo scelto un film di fantascienza per ogni decennio di esistenza del Trento Film Festival, uno in cui il paesaggio sia cruciale nella rappresentazione del futuro o di altri pianeti. Abbiamo cioè virato altri generi verso il nostro ambito, reinterpretando la storia del festival. Poi abbiamo colmato altri due vuoti: la Cineteca di Bologna sta restaurando i film di Mario Fantin (che era in programma con un suo film nella prima edizione del festival a cui poi ha partecipato 22 volte!), e poi abbiamo recuperato Luc Moullet, inviato dei Cahiers du Cinema dell’epoca di Truffaut e Godard che nel 1963 venne al festival e realizzò un grande reportage di 12 pagine, le dimensioni che di solito la rivista dedicava ai grandi festival, e ci sarà anche lui, Moullet (86 anni!). Di nuovo, un pezzo di storia del festival ma rivisto”.

Quindi lo celebrate con retrospettive?

“Sì ma di immagini mai viste prima! Ci sono film di Moullet che a malapena qualcuno conosce, l’unica retrospettiva a lui dedicata è del 1997 a Rimini Cinema”

Onestamente che affluenza vi aspettate per questa edizione?

“Non dico la metà del 2019 che sarebbe troppo pessimista, ma se arrivassimo a tre quarti di quei 22.000 biglietti stapperei le bottiglie. Ho evitato di pensarci ad ogni modo. Non sono ancora aperte le prenotazioni, quindi cominceremo ad avere degli indizi dal 23 Aprile parte la prevendita, una settimana prima del 29, quando partiamo”.

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