Bisogna stare sempre attenti quando si maneggiano i nazisti. Nemici del mondo per antonomasia (e non certo senza più d’un buon motivo), al cinema diventano il male per eccellenza, lo strumento più semplice per accattivarsi la benevolenza del pubblico e l’aura di impegno. Woman in gold è un perfetto esempio di abuso di nazismo per i propri fini.
La storia è quella vera di Maria Altmann, ebrea fuggita da Vienna poco dopo l’arrivo dei tedeschi all’alba della seconda guerra mondiale, la sua famiglia era molto ricca e tra i diversi quadri che possedeva ne vantava uno di Klimt che fu sequestrato dalle SS e poi tenuto nei propri musei dallo stato austriaco. Decenni dopo, vista l’apertura dell’Austria alla restituzione delle opere d’arte rubate, Maria Altmann decide di volersi riprendere quello che è suo per ottenere giustizia da chi ha massacrato e umiliato la sua famiglia, ma scopre che non è così facile.
Simon Curtis si pone chiaramente contro il go...
Ruffiano, semplicistico e pronto a tutto per conquistare gli spettatori (tranne impegnarsi), Woman in gold è una triste copia di Philomena
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