La recensione di Il capofamiglia, al cinema dal 16 marzo
Cosa succede quando una donna abituata al servilismo si ritrova improvvisamente a ricoprire il ruolo di capofamiglia? Questa è la domanda a cui l’esordio lucidissimo di Omar El Zohairy, Il capofamiglia, prova a dare una risposta. Si tratta di un’indagine sociale basata su una premessa straordinaria, fatta di realismo magico e portata a compimento da un’estetica freddissima (tutta a camera fissa): l’evento scatenante è infatti l’impossibile trasformazione in pollo del marito autoritario, unico evento surreale in una storia che invece sul realismo basa ogni suo snodo di trama.
La cornice è quella di una baraccopoli fatiscente in cui moglie (Demyana Nassar), marito e i tre figli vivono una quotidianità di stenti. Le pareti sono scrostate, i materassi macchiati, e ogni volta che si apre la finestra è una gara a cercare di non fare entrare il denso fumo bianco che esce da fuori. Niente di ciò che si vede in Il capofamiglia è spe...
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