La recensione di La bête, presentato in Concorso al Festival di Venezia 2023

Bertrand Bonello ama intrecciare i fili invisibili della Storia, collegare in un presente paradossale linee temporali multiple secondo speculazioni filosofiche spesso enigmatiche, ma altrettanto stimolanti. In un clima di surrealismo futurista dove l’intelligenza artificiale può annullare le emozioni umane, Bonello in La bête articola nuovamente il ritratto di una donna (qui Léa Seydoux) affranta dal dolore di un amore, alla disperata ricerca di una purificazione. Se infatti nel precedente Zombie Child tale annullamento emotivo avveniva attraverso la ritualità voodoo e una riflessione antropologica, in La bête questa catarsi si fa tecnologica, ponendo il fallimento del sintetico rispetto alla forza eterna dell’emotività e dell’amore.

La bête è un film che lavora esso stesso come un dispositivo complesso, di difficile lettura, articolato da immagini false e illusorie (vediamo cose apparentemente incongruenti) ...