La recensione di Lou, disponibile su Netflix dal 23 settembre

Parte davvero bene Lou: con una Allison Janney in versione Clint Eastwood – a muso duro, con uno sguardo truce mentre lucida il suo fucile – che nella sequenza iniziale di presentazione del suo personaggio ci trasporta subito in un’atmosfera da action duro e casereccio, tra stivaloni, impermeabili e una cattiveria che subito giustifica la sua solitudine su un’isola fangosa e dimenticata da Dio. Poi però succede che Anna Foerster, dietro la macchina da presa, si fa inondare non solo dalla pioggia torrenziale ma dalla sceneggiatura sciagurata di Maggie Cohn e Jack Stanley: un susseguirsi di momenti morti e improvvisi spiegoni-casca-braccia che affossano dopo la prima mezz’ora tutto il genuino entusiasmo che ci aveva fatto pregustare nei primi minuti.

Lou gira intorno all’idea di trauma intergenerazionale, in una storia di grossi poteri (la CIA) ma dal basso profilo, tutta ambientata su un’isola dal clima torrenzia...