La recensione di Master, disponibile su Prime Video il 18 marzo

Il dettaglio più rivelatore di Master arriva quando scopriamo che la protagonista (afroamericana) sì è stirata i caratteristici capelli crespi che invece avrebbe, una volta entrata in un college noto per essere frequentato quasi solo da bianchi. Voleva integrarsi e aveva paura di sembrare troppo afro. Lì sì capisce come a Master non interessi per niente l’effettiva paura, non gli interessa fare bene l’horror e anche la maniera in cui mette in relazione vittima, persecuzione e apparizioni, è generica se raffrontata all’impianto invece formalmente curatissimo che domina in tutte le sue altre parti. È semmai un “afro-horror”, quel genere reso famoso (e di moda) da Jordan Peele, in cui la condizione degli afroamericani in un mondo post-razzista (quello in cui la dinamiche soggioganti tra etnie non sono scomparse ma sono nascoste) è raccontata attraverso una trama fantastica che fa da metafora alle reali oppressioni...