Raya e l’ultimo drago, la recensione

Come mai i lungometraggi d’animazione quando devono partorire dei prologhi, da Kung Fu Panda in poi, lo fanno con sequenze 2D inventive, piene di idee, dai riferimenti colti, dagli abbinamenti cromatici eccezionali e una valanga di soluzioni d’animazione raffinate, e poi per il resto del film invece ricorrono al consueto stile-Pixar, ovvero quel modo di disegnare umani e animali con un buon tasso di fotorealismo solo poco contaminato dalle smussature cartoon? Anche il prologo di Raya e l’ultimo drago come molti altri dimostra che esiste negli stessi autori che la Disney ha assunto un desiderio di creazione più libera, ma di nuovo è relegata a pochi minuti iniziali mentre per il corpo del film si rientra nei canoni dell’ordinarietà.

Tutto questo è più evidente in un film come Raya e l’ultimo drago, che ha 4 registi e 8 sceneggiatori (il che significa che nessuno ne è il vero autore, lo studio è l’autore) e che investe molto della sua godi...