Quando dieci anni fa arrivò in sala Captain America: The Winter Soldier i Marvel Studios erano già i Marvel Studios. The Avengers, due anni prima, aveva fatto al cinema quello che sapete. Si usa tramandare, in maniera anche piuttosto sensata, che fu proprio il film di Joss Whedon a svelare la reale portata del progetto orchestrato da Kevin Feige. I capitoli della fase uno erano buoni (tranne un paio veramente bruttini), ma nulla che non si fosse già visto. Il crossover con tutti gli eroi uniti contro una minaccia comune, era un qualcosa che prima di quel momento non si pensava potesse funzionare così bene al cinema. Le squadre, soprattutto con sei (!) personaggi capaci di reggere un film da soli, tendevano generare storie da poco. Il mix tra umorismo fumettistico e un terzo atto veramente adrenalinico, avevano creato quella formula che ha fatto innamorare molti per anni. 

Mi perdoni chi era in sala a vedere questi film, se scrivo cose scontate, ma il tempo è passato. Occorre rispolverare un po’ di contesto. Per intenderci: i bambini che erano troppo piccoli per stare al cinema da soli, oggi sono alle prese con la maturità. Tornando a noi: The Avengers fu la rivelazione, ma fu The Winter Soldier a mostrare fino a dove potevano arrivare i Marvel Studios con i loro personaggi.

A differenza di Whedon i fratelli Russo non hanno fatto solo un film di supereroi, ma anche un thriller di spionaggio. C’è molto de I tre giorni del Condor, tra cui proprio Robert Redford, ma anche una sequenza presa direttamente dal fumetto Civil War, scritto da Mark Millar. La trama tradiva poi quella che era la run di Ed. Brubaker che aveva riportato in vita Bucky Barnes. Salvo poi usare una cura certosina nell’adattare proprio il soldato d’inverno in maniera fedele. Dentro e fuori dalla fedeltà, un continuo salto da una prospettiva cinematografica e una fumettistica.

Partire dai fumetti, per cambiare sempre

Non era chiarissimo prima. Iron Man 2 avrebbe dovuto adattare Il demone nella bottiglia (celebre storia in cui Tony Stark combatte il suo alcolismo), ma c’era veramente poco di quanto visto nei fumetti. Men che meno per atmosfera. Quando i Marvel Studios hanno iniziato a mettere i titoli al posto dei numeri, per i secondi e terzi capitoli, è cambiato tutto. Il seguito non è più un semplice continuo della storia di un personaggio. Visto nella prospettiva del titolo al posto del numero diventa soprattutto un nuovo modo di intendere quel supereroe. Una prospettiva diversa che può essere in continuità con la gestione precedente o radicalmente diversa. Proprio come succede nei fumetti quando passa di mano da autore ad autore, quando cambiano i periodi. Tra il primo Captain America e The Winter Soldier, l’arco di Steve Rogers è coerente, ma i film non potrebbero essere più diversi

Declinare la solita struttura da cinecomic nei diversi generi, trovare nuovi frame narrativi con cui analizzare i personaggi. Fino a che i Marvel Studios sono stati fedeli a questa formula, pur con qualche caduta, non ce n’è stato per nessuno. The Winter Soldier ha dimostrato che si poteva variare di molto, pur restando coerenti. La posizione migliore per non stufare.

Captain America The Winter Soldier

La grandezza di The Winter Soldier si capisce da Arnim Zola

C’è veramente poco che non funzioni in Captain America: The Winter Soldier. Forse il terzo atto è meno innovativo rispetto ai primi due, ma è comunque parecchio coinvolgente. È un film in cui anche i più piccoli dettagli hanno regalato emozioni a lungo andare. La lista di Steve con le cose da recuperare, il brillante modo di mostrare la differenza di forza con la battuta “alla tua sinistra”, lo SHIELD che crolla, Fury per la prima volta in difficoltà (dopo un grande inseguimento) e le conseguenze della sua finta morte.

Un prologo rigoroso riesce a resettare bene le aspettative sull’azione. Non più un epico blockbuster con dei e alieni, ma uno scontro (nei limiti) più realistico e tangibile. Già nel 2014 si faceva fatica ad ammettere che la Marvel, quando vuole, dal fare della grande azione. C’era Sam Hargrave (oggi regista di Tyler Rake) nei panni di Steve Rogers durante il pazzesco stunt del primo scontro a pugni contro Il soldato d’inverno. I colpi sono tangibili, portano conseguenze, c’è un peso narrativo in ogni colpo veramente delizioso. 

Ma la diversità del film la si capisce quando riesce ad adattare ciò che era infilmabile: Arnim Zola. Oggi quando al cinema arriva MODOK, si vuole MODOK come nei fumetti. E non è il massimo… Arnim Zola è proprio come la testa volante vista in Ant-Man: bruttissimo e ridicolo. Un robot con una faccia in corrispondenza del petto. L’idea di Markus e McFeely di trasportare la sua coscienza in un supercomputer della seconda guerra mondiale è semplice, efficace, inquietante. Non una traduzione letterale, ma quella giusta. Adattare, per davvero, con rispetto sia per la fonte che per le regole del cinema. 

The Winter Soldier non è un film rivoluzionario…

… e per questo resta sempre un po’ schiacciato quando si tratta di pensarlo come tappa di uno sviluppo del genere. Il successivo Guardiani della galassia appare un passo in avanti molto più netto, sia per l’ambientazione completamente diversa che per il fatto di essere un primo capitolo. 

Però The Winter Soldier fa qualcosa di diverso: perfeziona. Ha portato all’apice quelle che erano le possibilità tecniche di dieci anni fa per i Marvel Studios, e ha ampliato il pensiero dello studio su quello che poteva fare delle sue storie. Oggi, senza avere alcun multiverso, è uno dei film più innervati nel MCU. Sia creativamente che narrativamente il film è stato al centro delle diramazioni di trama che sono seguite. 

Oggi sappiamo quanto quel film fosse un evento fondamentale. Nessuno l’ha promosso come tale. Anzi, arrivò in sala senza eccessivo hype e senza sapere bene cosa aspettarsi. Questa sì, invece, è una cosa rivoluzionaria.

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