In questo pezzo scritto per celebrare i 10 anni di Fright Night – Il vampiro della porta accanto scrivevamo che uno dei motivi per cui il remake del classico di Tom Holland funziona così bene è che era scritto da una persona che conosceva alla perfezione la materia e sapeva come manipolarla e piegarla alle sue esigenze (Marti Noxon, se non avete voglia di andare a leggere). Il pezzo era dedicato al remake, non all’originale Ammazzavampiri (così era uscito nel 1985 in Italia Fright Night), e dunque poteva permettersi di ignorare un dettaglio che dettaglio non è: se Marti Noxon è così esperta di vampiri, e ha contribuito insieme a Joss Whedon a riscrivere le regole del genere con Buffy, il merito è soprattutto di Tom Holland e del suo film di debutto.

Per quanto i film sui vampiri siano una presenza costante nell’intera storia del cinema, tanto che alcuni dei primi capolavori riconosciuti della settima arte parlano proprio di gente che succhia il sangue e non potrà mai abbronzarsi, il genere è rimasto curiosamente uguale a se stesso per moltissimo tempo. Certo, decennio dopo decennio la figura del vampiro ha lentamente assimilato alcune caratteristiche del cinema che le stava intorno in quel periodo, per cui, per dire, Vampyros Lesbos di Jesus Franco non sarebbe potuto esistere negli anni Quaranta, ma ebbe bisogno dei Sessanta e dei Settanta per maturare nell’ombra. Ma nonostante tutte le variazioni sul tema, di base la figura del vampiro è rimasta più o meno sempre la stessa fino a che non è arrivato Ammazzavampiri.

 

Sandro Tonali

 

Parliamo non del Dracula (perché se si parla di vampiri si finisce sempre lì prima o poi) bestiale e ferale del Nosferatu di Murnau, ma di quello che ha conosciuto il suo apice nella versione del 1992 di Francis Ford Coppola: il vampiro affascinante, decadente, gotico, romantico, seducente, la perfetta rappresentazione della lama sottile che separa il dolore dall’estasi e la vita dalla morte. Una visione tragica e ottocentesca del vampiro, che con gli anni si è macchiata alternativamente di violenza estrema o di sesso selvaggio, ma comunque sempre legata a quest’idea del succhiasangue come di una creatura maledetta la cui condizione è insieme benedizione e sofferenza.

Tom Holland negli anni Ottanta era un giovane e promettente sceneggiatore che aveva passato l’infanzia e l’adolescenza a nutrirsi di quei Dracula e di quei vampiri tragico-goticheggianti – e li amava, ovviamente. Li amava al punto che, come raccontò a Tim Sullivan in questa bellissima intervista purtroppo impaginata nel modo peggiore possibile, si trovò a un certo punto a giocare con un’idea stuzzicante: la storia di un fan dell’horror che scopre che il suo vicino di casa è un vero vampiro, con zanne, sangue succhiato, bara in cantina e tutto quanto.

 

Wampiro

 

«Continuavo a ragionare su quest’idea, ci giravo intorno ma non trovavo il modo di farla funzionare, finché parlando con un amico mi è venuto in mente “be’, se fossi davvero un megafan dell’horror con un vampiro come vicino di casa, la prima cosa che farei sarebbe andare da Vincent Price!”», uno dei volti più noti dell’horror degli anni Cinquanta e Sessanta. In realtà Holland usa un altro nome, Peter Vincent – che è un doppio omaggio a Peter Cushing e Vincent Price, e che è il nome di uno dei due protagonisti del suo Ammazzavampiri. È un semplice gioco di parole che però dice moltissimo sul film scritto da Holland, e su quello che ha rappresentato per il genere.

In anticipo su un’intera stirpe di commedie horror un po’ meta-, Ammazzavampiri è un film non tanto sui vampiri, ma sul fandom dei vampiri, e sui film di vampiri. Era, ed è ancora oggi, per un sacco di persone, la risposta migliore alla domanda “a che cosa ci è servito dedicare migliaia di ore della nostra vita ai vampiri?”: se doveste succedere a voi, dice Holland attraverso il personaggio di Charley, sapreste perfettamente come comportarvi. È un’opera che prende un genere e i suoi fan e li fa scontrare, e dimostra che a uscirne vivi sarebbero i secondi, perché la passione e l’amore sono più forti di… delle creature della notte, probabilmente.

 

Ammazzavampiri mostrino

 

Ma è anche un film che in un certo senso toglie il tappeto da sotto i piedi ai suddetti fan. Perché il Jerry Dandridge di Chris Sarandon non è un Dracula, non è un vampiro maledetto e depresso uscito da un’altra epoca. Jerry è un vampiro moderno e pop, una creatura della notte intesa come movida e non solo come luogo buio di misteri e turpitudini; è un succhiasangue che sa come si sta in un pub, che ascolta la musica, che sa come confondersi in un banalissimo e indistinto vicinato di una piccola città dell’Iowa. È molto poco Dracula e moltissimo tutti i vampiri che verranno dopo di lui, a partire da quelli già citati di Buffy l’ammazzavampiri (ci piace pensare che la traduzione italiana del titolo della serie sia un omaggio al film di Holland) per finire con quelli di altre serie letterarie cinematografiche che non nomineremo qui.

C’è un prima e un dopo per i vampiri al cinema grazie ad Ammazzavampiri: da Scuola di mostri a Il buio si avvicina di Kathryn Bigelow fino ai vari Vampire Diaries e True Blood, tutti devono qualcosa al film di Tom Holland. Che meno di un anno fa ha annunciato di stare lavorando a un vero e proprio sequel di Ammazzavampiri dopo il mezzo disastro (non per colpa sua) del 1988 intitolato Ammazzavampiri 2, che verrà ignorato e messo nel dimenticatoio. Holland ha parlato di far resuscitare tutti i personaggi morti nel primo, e ha detto che «fare questo film è l’unico modo per proteggere qualcosa che amo (a Holland non è piaciuto il remake del 2011, nda): se vuoi che una cosa venga fatta bene, devi farla tu». Ci fidiamo, e aspettiamo ansiosamente il risultato dei suoi sforzi.

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