Questo articolo fa parte della rubrica Rivisti oggi

Quello di Animal House è un caso lievemente diverso rispetto a quelli che abbiamo trattato fin qui in questa rubrica: non parliamo di un film che è stato messo in discussione ad anni se non decenni della sua uscita perché ricontestualizzato secondo una sensibilità diversa, ma di un film che venne accolto già all’epoca con espressioni come “privo di gusto” e “disgustoso”. Un film che nasceva per essere offensivo, che voleva far storcere il naso già nel 1978, quando, per dire, le battute razziste, omofobe o sessiste (che nel film abbondano) erano considerate normali e non censurabili. E un film che ci riusciva benissimo, perché il suo nichilismo e la sua voglia di fare schifo non erano gratuiti.

Animal House e le cose che non vanno (?)

L’abbiamo accennato prima ma ribadiamolo esplicitamente per evitare ogni polemica: certo che ci sono cose che non vanno, in Animal House. Alcune sono stirate fino al limite dell’accettabile e si salvano in corner: il monologo interiore di Larry di fronte a una ragazza nuda e ubriaca, con il diavolo che gli suggerisce di fatto uno stupro e l’angelo che lo invita invece a essere un uomo d’onore si conclude con la vittoria del secondo – e subito dopo con il secondo che lo insulta dandogli dell’omosessuale. Come detto, una situazione al limite, ma che ancora riesce a salvarsi per il proverbiale rotto della cuffia.

Animal House John Belushi

Altre soluzioni narrative sono state citate più volte come esempi di cattivo gusto, ma secondo noi usato nel modo giusto. Un esempio su tutti: Otter che si finge il fidanzato di una ragazza morta in un incidente per rimorchiare la sua coinquilina. Certo che è di cattivo gusto, e infatti il film stesso lo presenta come tale, punendo gli autori del gesto invece che celebrarli. Il cattivo gusto di questo tipo è parte integrante delle regole della commedia da sempre, in particolare quella adolescenziale: nel recentissimo Bottoms, per dire, le due protagoniste si inventavano un fight club al femminile al solo scopo di potersi rotolare per terra con le belle cheerleader della scuola. L’adolescenza è un periodo nel quale si tende (anche) a fare schifo, e a fare scelte sbagliate: Animal House, che ha tanto di autobiografico, le racconta più che esaltarle.

Altre cose che non vanno

Ci sono però delle gag e delle situazioni che nessuno farebbe fatica ad ammettere siano fuori posto, e se “oggi non si possono più fare” è solo un bene. Durante la succitata serata con le amiche della morta, Larry chiede alla ragazza che gli è stata assegnata di cosa si occupi, e lei risponde “culture primitive”; il montaggio stacca immediatamente sul bar di neri nel quale il gruppo si è accidentalmente ritrovato, e su un primo piano del cantante Otis Day. Poi il film ricomincia, e l’argomento non viene più sfiorato. È un momento rapido, ma è agghiacciante, e non è l’unico che si ritrova in Animal House.

Larry

Il punto, però, secondo noi, non è tanto provare a elencarli tutti, giocare a “trova la battuta politicamente scorretta”. Più interessante è capire il perché di certe scelte, se c’è una ratio (discutibile quanto volete) o se si tratta di pura cattiveria. Nel caso di Animal House, la chiave sta nel fatto che il film è uscito sulla fine degli anni Ottanta, ma è ambientato all’inizio degli anni Sessanta: la data della parata finale è il 21 novembre 1963, il giorno prima dell’assassinio Kennedy, quello che gli sceneggiatori Douglas Kenney e Harold Ramis consideravano “l’ultimo anno innocente degli Stati Uniti d’America”. Tutto quello che vediamo, dunque, è il modo in cui un gruppo di persone nate e cresciute in quegli anni si ricordavano l’esperienza del college e delle frat house: un mix di nostalgia, ricordi annebbiati dall’alcool e anche e soprattutto tanta satira dovuta al potere del senno di poi.

Come eravamo

È ovvio che, per tornare alla battuta di prima, Harold Ramis non fosse una persona convinta che i neri fossero una “cultura primitiva”: per quanto insensibile e presentata male, la gag è fatta per prendere in giro prima di tutto la ragazza che la pronuncia, e più in generale il modo in cui gli stessi autori vedevano il mondo quasi vent’anni prima. Una visione rosea e ottimistica, pre-Vietnam per capirci, e che in Animal House viene raccontata con la disillusione di chi ci ripensa e si rende conto che si era sbagliato clamorosamente. I membri della Delta Tau Chi sono ignoranti, anarchici, casinisti e nichilisti – come se già sapessero cosa li aspetta. I membri della Omega Theta Phi sono belli, ordinati, perfetti americani – e infatti hanno una rabbia repressa che li porta a compiere l’unico vero episodio di cruda violenza del film, e almeno uno di loro morirà proprio in Vietnam.

Sindaco

È per questo che crediamo che sia limitante definire Animal House come misogino, razzista e omofobo (per quanto lo sia). C’è quantomeno un ragionamento dietro a tutta questa causticità, uno scopo anche per le battute più irricevibili. E c’è anche, tolte queste, un film comico che fa ancora parecchio ridere, con molti momenti indimenticabili (e non parliamo solo di Pearl Harbor) e uno spirito punk che pochissime teen comedy liceali-e-dintorni sono riuscite a replicare (oltre al succitato Bottoms viene in mente Mean Girls, del quale abbiamo parlato di recente, ma anche il dimenticato e bellissimo Project X).

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