C’è la scusa di un terremoto che ha raso al suolo la Corea dietro a due storie diversissime tra di loro. La prima è quella di Concrete Utopia, il film diventato una hit in Corea del Sud basato su un unico condominio rimasto in piedi dopo questa apocalisse. Si ragiona sul concetto di proprietà e su come la società si possa riorganizzare in una situazione simile. La tipica questione di vita o di morte che acuisce le tensioni e gli egoismi delle persone. Uno studio su come si reagisca quando messi alla prova e quindi, più in grande, come tutti noi potremmo cavarcela in quella situazione da fine del mondo. Quel terremoto ha dato origine a un sequel di Concrete Utopia. Si chiama Badland Hunters e non c’entra niente con il primo film. 

Si parte nel mezzo dell’azione. Il dottor Yang Gi-su viene fermato dalla polizia mentre sta facendo degli esperimenti su sua figlia morente. È alla ricerca di un modo per rigenerare le cellule. Un siero dell’immortalità che possa salvare la giovane. Le scosse di Seoul interrompono l’operazione, lo scienziato pazzo si salva dall’arresto, ma riemerge dalle macerie di una città trasformata nelle Badlands, terre di nessuno. Ciò che segue è a metà tra Mad Max e Bud Spencer e Terence Hill. Quando facciamo la conoscenza dei due protagonisti, che condividono le proporzioni fisiche della coppia italiana, stanno cacciando un coccodrillo per sopravvivere e si fanno largo a cazzotti.

L’ambiente è un po’ come quello raccontato da Virzì in Siccità. Non piove. La gente fa code per un goccio di acqua e usa il baratto per procurarsi da mangiare. Si cerca di mantenere ancora una decenza, una parvenza di normalità tra le macerie. In città arriva una gang di criminali dal Distretto degli Autobus, fanno razzia e rapiscono le persone. Nam San e Choi Ji-wan, interpretati rispettivamente dal corpulento Ma Dong-seok (Gilgamesh di Eternals) e dallo smilzo Lee Jun-young, difendono gli abitanti del posto. Come i sette samurai, anche se sono solo in due

Badland Hunters, gli zombi, lo scienziato pazzo e gli Hunger Games

Tra i vari distretti non si aggira Katniss Everdeen, bensì un gruppo di apparenti benefattori. Promettono di salvare i giovani e i loro cari portandoli in un rifugio sicuro. Pare, stando ad una battuta di Choi Ji-wan, che occorra proprio essere una famiglia (tradizionale, ovviamente) per accedere. Anche se poi, di fatto, degli anziani non ce ne si fa nulla. Sono una copertura per salvare le apparenze, vanno tolti di mezzo a metà del cammino. Con un’incredibile ingenuità tutti i ragazzi e le ragazze si fanno ingannare, ad eccezione di Han Su-na che capisce abbastanza alla svelta che ci sia qualcosa di losco sotto quel rifugio sicuro. 

Presto detto: l’intera struttura è un grande laboratorio a cielo aperto dello scienziato pazzo. Per i suoi esperimenti servono corpi freschi e sani. I precedenti tentativi sui residenti hanno portato alla creazione di super-soldati dalla forza sovrumana e pressoché immortali. Dei mutanti zombie che possono essere uccisi solamente con un colpo in testa. Sembrano morti viventi, ma corrono come vampiri del cinema action. Nel laboratorio riposa poi il busto (vivente) della figlia di Yang Gi-su in attesa di trovare un nuovo corpo, una soluzione che piacerebbe a Guillermo Del Toro.

Se Badland Hunters sembra un grande accròcco di idee, buttate alla rinfusa senza sapere a quale dare più perso, è perché il film è proprio così. Si potrebbe considerare il suo bello. O ciò che lo rende insopportabile. 

Badland Hunters

Almeno le scene d’azione sono belle…

… è una frase che per i film d’azione di serie B equivale ad “almeno la fotografia è bellissima” per i film drammatici. C’è qualcosa da salvare in Badland Hunters, e c’è modo di divertirsi, sempre però grazie a una parte e mai al tutto. Proprio come una bella fotografia può vagamente sostituire dei veri sentimenti scritti tra le righe della sceneggiatura, così delle belle scene d’azione possono sostenere un film che però non riesce mai a far scaturire la tensione dalle situazioni che crea. Il ritmo è dato dal montaggio velocissimo, a volte anche confuso, quasi mai dal necessario e incessante succedersi di eventi. 

Si può però provare della simpatia per un progetto come Badland Hunters. Un po’ per come tradisce il proposito più serio di Concrete Utopia, arrivando a fare un sequel quasi antologico che parte dalla stessa premessa e la declina in maniera completamente diversa. Un po’ per come non gli importa di appartenere alla serie B dell’immaginario (per definizione quella che ruba da altri per facilitarsi la vita). Anzi, ne va così fiero che prende a destra e a manca dimenticandosi di miscelare bene gli ingredienti prima di servire in tavola. 

Solitamente quando si provano più soluzioni contemporaneamente la speranza è che almeno una di queste funzioni. Spesso accade proprio questa cosa: una emerge sulle altre, ma ce ne si accorge a film finito che quella determinata parte poteva diventare centrale. In questo caso il problema non si pone neanche. I tentativi, le suggestioni prese altrove e buttate dentro, sono semplicemente troppe. Una sull’altra senza essere mai sviluppate si annullano a vicenda. Non c’è veramente nulla che brilli in Badland Hunters, un film che concepisce l’intrattenimento come un accumulo di cose che altrove hanno intrattenuto. L’esito è quello di un prodotto da piattaforma streaming che coccola l’algoritmo di profilazione, ma che assomiglia a un edificio crollato, come quelli che gli fanno da scenografia. Con quei mattoni poteva essere una solida abitazione, invece quel che resta è solo qualche pezzo di pregio in mezzo a tanta polvere.

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