C’è un nome spesso invocato da Hollywood quando le cose non vanno per il verso giusto: Scott Frank. Lo sceneggiatore e oggi regista è diventato noto al grande pubblico per le miniserie Godless e La regina di scacchi, ma nella sua lunga carriera la sua figura ha segnato, restando nell’ombra, alcuni dei più importanti film. Scott Frank ha curato come script doctor più di 60 sceneggiature.

Se il suo lavoro fosse definibile secondo i termini di sceneggiatura si potrebbe dire che la sua figura è quella di un deus ex machina. Uno scrittore dotato di un talento particolare: sistemare le storie altrui, dare forza alla sceneggiatura migliorando dialoghi intrecci e personaggi. Oggi la carriera di Scott Frank l’ha portato alla riemersione dall’anonimato (spesso non è stato inserito nei crediti), e gli ha fatto meritare un lunghissimo speciale su The New Yorker che ne ripercorre la carriera.

Scott Frank ha scritto romanzi di finzione e sceneggiature attraversando molti generi. La versatilità fa parte del suo talento. È un mistero se sia innato o sviluppato proprio a seguito delle tante revisioni di storie scritte da altre persone. Quello dello script doctor è un mestiere che si esercita quasi sempre sotto pressione, con poco tempo e tanti occhi che osservano. Tra loro ci sono anche quelli del regista e dell’autore della storia. Occorre fiducia degli autori e Frank ha dimostrato di sapersela meritare. Spielberg si è affidato a lui per rifinire Salvate il soldato Ryan. C’è la sua mano anche su successi come The Ring, Una notte al museo, L’amore infedele – Unfaithful, Gravity e un po’ di film degli X-Men (di cui però non ha rivelato il titolo dicendo di non ricordarlo). 

Dicono di Scott Frank

Steven Soderbergh ha lavorato con Scott Frank su Out of Sight. Il film è alla base della loro amicizia. Soderbergh descrive il suo modo di scrivere come quello di un ventriloquo per come riesce a far parlare fluidamente i suoi personaggi. Craig Mazin ha spiegato il suo intuito commerciale come l’esito di una forte attenzione al pubblico e alle reazioni degli spettatori. Una conoscenza profonda della psicologia dell’audience. 

Paul Thomas Anderson fa parte dei colleghi ammiratori. 

È un formalista, e lo dico come il miglior complimento. È quello che gli ho sempre ammirato e che vorrei imitare. Comprende la struttura classica del racconto più di quanto la maggior parte delle persone riesca a fare, così loro finiscono per essere “inventivi”. Le sue sceneggiature hanno sempre avuto la sensazione di avere un piede negli anni trenta o quaranta

Ma come ha fatto un nome fino a poco fa ignorato dai più a costruirsi così tanto credito a Hollywood? 

Godless Scott Frank

Da sceneggiatore invisibile al successo globale

Il mio piccolo genio, la sua prima sceneggiatura scritta a diciannove anni, è diventata un film diretto da Jodie Foster. Parla di un talentuoso bambino di sette anni cresciuto da una madre single. La somiglianza con la storia personale di Foster è stato il colpo di fortuna che ha convinto l’attrice, cresciuta da sua madre da sola e considerata un talento prematuro, a realizzare la pellicola nel 1991. La reazione della Paramount allo script fu di offrigli un contratto che lo rendesse uno sceneggiatore professionista a tempo pieno. Il suo lavoro giovanile da barman, ha detto con una battuta Tony Gilroy, è durato dodici minuti. 

Il suo secondo film L’altro delitto, diretto da Kenneth Branagh, fu un successo economico. La sceneggiatura ebbe il merito però di definire anche lo stile di Frank, capace di bilanciare la violenza e l’oscurità con un aspetto più speranzoso. La cosa fu riconfermata da Get Shorty, di Barry Sonnenfeld. 

Tra le altre sceneggiature che ha firmato c’è quella di Minority Report per Steven Spielberg e The interpreter per Sidney Pollack. Con James Mangold ha creato i due Wolverine (L’immortale e Logan). Essere maturi e realistici era una condizione esplicitata alla produzione: nei suoi film i supereroi non rimbalzano, si fanno male. 

Steven Soderberg come mentore

Scott Frank non voleva adattare per il grande schermo il romanzo di Elmore Leonard Out of Sight. L’ha fatto solo per soldi e gli è andata bene. È riuscito a non inimicarsi l’autore con la sua versione, e soprattutto ha incontrato Steven Soderbergh. Con lui ha creato un rapporto di allievo e mentore. Frank è stato per anni restio alla regia. Nel 2005 ha cambiato idea e ha provato a dirigere una sua sceneggiatura passata di mano in mano a Sam Mendes, David Fincher, Michael Mann senza venire prodotta. Ne uscì Sguardo nel vuoto, la recensione di Soderberg fu schietta: “guarda, sei uno scrittore che adesso ha diretto, ma non sei ancora un regista. Hai documentato quello che hai scritto, ma non è la stessa cosa che essere un regista”.

Soderbergh si appoggiò a Frank per sistemare Contagion. Restituì il favore con il secondo film di Scott Frank La preda perfetta – A Walk Among the Tombstones. Finite le riprese emersero problemi di montaggio e di coerenza nel tono. Soderbergh si liberò dagli impegni per aiutare l’amico. Fu una scuola di regia per lui. 

Nel 2017 aveva maturato la giusta sicurezza che portò a realizzare Godless, la miniserie Netflix ambientata in una frontiera Western senza uomini. Un progetto enorme e complesso che gli portò apprezzamenti anche sotto il profilo di regista. Il vero successo arrivò però con La regina degli scacchi. Fenomeno globale della piattaforma streaming, la miniserie era un progetto a lungo ricercato da molti senza che si riuscisse mai a realizzare.

Frank, che oggi è al lavoro sulla serie Monsieur Spade con Clive Owen, è diventato popolare nella sua tarda carriera. Dopo Godless, ma soprattutto dopo La regina degli scacchi, molti si sono chiesti: Chi è Scott Frank? La risposta però non si trova nella sua scarna pagina IMDB, bensì nei sessanta film che ha “curato” nel silenzio e lontano dai titoli di coda.

Fonte: Newyorker

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