Drive di Nicolas Winding Refn: ha 10 anni uno dei film più influenti del nostro tempo

Quando Drive arrivò in Italia, la distribuzione pensò di diffondere online i primi 10 minuti del film. Fu una trovata perfetta non solo commercialmente ma anche criticamente. È infatti in quell’attacco che è contenuta tutta la rivoluzione di Drive. In quella scena d’azione iniziale come ce ne potrebbero essere in un film di 007 (solo mandata a x0,5) manca tutto quello che siamo abituati a trovare in una scena d’azione. Niente foga, niente montaggio concitato, niente movimenti folli, niente spettacolarizzazione e niente musica.

Niente.

Refn creava una tensione migliore e un’epica più coinvolgente di Fast & Furious senza usare nessuno dei suoi strumenti ma mostrando un altro territorio del cinema. Era così perfetto da non colpire solo i più attenti al linguaggio delle immagini ma pure gli spettatori più distratti.

 

 

Una situazione convenzionale con esiti convenzionali è presentata in una maniera che non riconosciamo. C’è una rapina, un autista che aspetta e poi un inseguimento, via auto ed elicottero, fino ad uno stratagemma finale per sfuggire alla cattura. La colonna sonora è sostanzialmente una linea di basso che è sempre più tiepida invece che più presente a mano a mano che la scena monta. I rumori sono più importanti. Il montaggio è più importante, tantissimi stacchi di continuo che non aumentano il ritmo ma anzi, controintuitivamente, assieme ai rumori creano stasi e tensione. In tutta la prima parte l’azione viene dalla radio della polizia che racconta cosa avviene fuoricampo, il rischio di essere beccati. Nella seconda, da quando dalla radio capiamo che sono stati scoperti dall’elicottero (non ce lo dice nessuno e la necessità di capire ci tira ancora più dentro l’azione) anche quel poco di basso che c’era scompare, recitano le luci che cercano l’auto, recitano i rumori anempatici, il rombo del motore, recita il montaggio sugli occhi di Gosling che scrutano.

Il film parla solo con le immagini e i suoni.

 

drive gosling occhi

 

Coerentemente la trama di Drive è asciugata al massimo: un autista a noleggio per il crimine si innamora della vicina di casa e viene coinvolto nella vita di lei e del marito criminale. È una struttura da favola molto semplice, principessa in pericolo, cattivo ed eroe che se ne innamora, che stimola il film ad essere molto complicato più nelle implicazioni che nell’intreccio. Tutto viene dal romanzo di James Sallis ma è solo uno scheletro che serve a costruire il film, non certo l’ispirazione, che invece è ben più insensata. Come raccontato più volte da Gosling e Refn i due si erano incontrati a Los Angeles perché Refn era lì per un film con Harrison Ford che non si sarebbe mai fatto e come è prassi si combinano incontri vari per vagliare collaborazioni. Uno di questi per l’appunto era con Gosling, attore in crescita ma non ancora un protagonista di film grandi. Refn era sotto medicinali perché si era preso una brutta influenza. Era a pezzi e l’incontro andò malissimo. Al ritorno non aveva molti soldi per un taxi e chiese a Gosling uno strappo a casa. Un viaggio di un’ora (!) in cui nessuno dei due parla. Silenzio. Gosling mette allora la radio e parte Can’t Fight This Feeling di REO Speedwagon (un classico della musica pop ruffiana, sentimentale con una certa ingenuità). Completamente fatto di medicinali e di febbre Refn comincia a cantare, euforico, e piangere. Ha avuto l’idea e la dice a Gosling:Un film su un uomo che guida in città in silenzio e ascolta musica pop perché lo sfoga sentimentalmente”. “Ci sto” è la risposta. Chissà cosa ci aveva visto Gosling

 

 

Quella della produzione di Drive è una storia di europei che vanno ad Hollywood prendono la materia hollywoodiana più pura e la stravolgono con idee impensabili in America, plasmando quello che conoscono (e conosciamo) in direzioni che nessuno sa prevedere. Cioè la storia stessa di Hollywood.
Siamo nel post-Michael Mann in quell’idea di pulp-zen delle metropoli, in cui il crimine e attraversare una città di notte in auto con intenti d’azione (e suoni elettronici) si trasformano in una forma di meditazione. In più in Drive c’è proprio Refn stesso, le sue ossessioni e la ferma intenzione di fondere insieme tutto quello che ama del cinema d’autore con tutto quello che ama del genere, il gusto per la composizione la fotografia e la musica di Cliff Martinez, una versione molto migliore e più elevata dei suoni anni ‘80 di Can’t Fight This Feeling. Drive non è un film di livelli di lettura profondi ma uno di accostamenti che creano senso.

 

bryan cranston drive

 

Refn rispolvera e ricrea da zero l’estetica del neon, rilanciandola per tutti gli anni ‘10, la accosta ad una storia ispirata a The Driver di Walter Hill, la accosta a Cliff Martinez e al romanticismo spinto. Tutto amalgamato dalla sua rarefazione, dalla capacità che ha di rallentare e creare atmosfere coinvolgenti passando per percorsi che nessun altro conosce.
Drive ragiona come se fosse il primo film della storia del cinema, nel senso che pur appoggiandosi ad un romanzo e (vagamente) ad un altro film, fa tutto in una maniera personale. Ha un font suo per i titoli di testa, ha colori solo suoi (il misto di rossi e blu al neon diventerà un classico dei film modaioli notturni degli anni a seguire), ha un abbigliamento suo, fotografia tutta sua, un protagonista che non parla come non avevamo visto e poi le scene d’azione lente (una addirittura in ralenti), una donna come Christina Hendricks e un’altra come Carey Mulligan (cioè agli antipodi), in una trama che meno di così davvero non si poteva. È a tutti gli effetti cinema d’autore europeo portato a chiunque, trasformato in materiale commerciale.
Il suo successo con il pubblico, con l’industria e al festival di Cannes spiegano bene quanti territori possa occupare il film.

Fino a quello dei videogiochi.

 

drive hammer

 

È una delle pietre fondamentali del grande cambiamento degli anni ‘10.

C’era già stato Il cavaliere oscuro e il cinema di Nolan (che tuttavia non sono materia da festival) ma poi arriverà Gravity con i suoi successi festivalieri, Oscar e pubblico che per altri versi contribuirà a lanciare l’idea che gli autori, i registi con visioni uniche e poetiche particolari possono essere le persone migliori per creare un cinema di genere crossover, capace cioè di prendere sia il pubblico che desidera qualcosa di commerciale che quello che desidera qualcosa di sofisticato. Il sogno tarantiniano (cinema per tutti e per pochi al tempo stesso) diventa di massa per una decade. Arriveranno La forma dell’acqua, Arrival, La La Land, Joker e tantissimi altri film che confermeranno questa idea (ma pure molti altri che falliscono cercando di giocare in quell’arena).

 

drive bancone

 

Drive rimane il prototipo impossibile da replicare, lancia tutti i coinvolti e soprattutto Ryan Gosling appiccicandogli i ruoli silenziosi ed enfatizzando la sua preferenza per una recitazione dolente e in sottrazione. Di nuovo una scelta non proprio da cinema commerciale ma più da cinema d’autore, che invece diventa mainstream.
Con grande sorpresa sarà poi Refn stesso a suicidarsi, commercialmente parlando, negando tutto quello che Drive aveva affermato. Solo Dio perdona e poi The Neon Demon sono sterzate potenti verso il cinema da festival, non hanno niente della ricerca commerciale di Drive. Sono in linea con molti dei film che faceva prima (Valhalla Rising ad esempio) e sono stati per lui un modo di sottrarsi all’hollywoodizzazione della sua carriera, rifiutare di normalizzare il suo cinema e anzi dire a tutti che lui gioca in un altro campionato, vuole fare altro ed è altro.
Lo stesso la forza di Drive è tale che lo status di Refn rimane altissimo, anche dopo l’insuccesso della serie Too Young To Die Old.

Cosa ne pensate del nostro special dedicato a Drive di Nicolas Winding Refn? Ditecelo nei commenti!

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