Questo articolo fa parte della rubrica Tutto quello che so sulla famiglia l’ho imparato da Fast & Furious

Fast & Furious 5 è diverso. Non è difficile notarlo: è una questione personale, per la prima volta nel franchise, e soprattutto non ci sono più corse in macchina. Ci sono inseguimenti, ci sono esplosioni, ci sono anche risse e sparatorie, ma la cultura dell’auto come mezzo per percorrere grandi distanze in pochissimo tempo, come pezzo di metallo lanciato a velocità folli solo perché si può, è assente, sostituita da uno spirito più classicamente criminale, da heist movie di una volta. Sarebbe bello pensare che si tratti di un’evoluzione spontanea e naturale di una saga che stava cominciando a sentirsi un po’ stretta entro i confini del car movie classico. In realtà al tempo fu una scelta di marketing ben precisa, e non per questo meno efficace.

L’idea di Universal era che continuare a mantenere Fast & Furious dentro il recinto nel quale era nata significava porsi dei limiti, ammettere di avere un tetto massimo di pubblico oltre il quale la specificità del franchise non gli permetteva di andare. Ma i risultati eccellenti dei capitoli precedenti, il quarto in particolare, avevano dimostrato a Universal che la saga aveva ancora spazio per crescere, e avrebbe potuto esplodere definitivamente se avesse abbracciato una forma più universale e potabile.

Daddy

Ecco quindi l’idea di virare sullo heist movie, sul film di rapina nel quale certo gli inseguimenti in macchina rimangono uno dei piatti principali, ma nel quale correre molto veloce non è più un hobby ma un mezzo, uno strumento per ottenere un risultato – nel caso specifico, arrivare al bottino. Intendiamoci: di per sé la svolta heist non è nulla di originale, e guarda anzi a grandi classici tipo Un colpo all’italiana. Dove Fast & Furious 5 azzecca tutto è nel modo in cui riesce a intrecciare questa svolta con tutto quanto seminato nei film precedenti in termini di costruzione dei personaggi, di reti relazionali e, ovviamente, di Famiglia.

Il paradosso di Fast & Furious fino al quarto capitolo è sempre stato quello di avere protagonisti che si divertivano un sacco a fare quello che facevano, ma che al contempo non ne potevano già più di vivere braccati e inseguiti dalla polizia ovunque vadano. Per cui ogni nuova corsa, ogni nuovo colpo sembrava un modo un po’ autolesionista di perpetrare una condizione dalla quale cercavano al contempo di sfuggire. Fast & Furious 5 risolve questo classico dilemma da franchise con una soluzione altrettanto classica, alla base di ogni buon heist movie che si rispetti: il colpo definitivo, l’ultimo prima della pensione, quello che da solo basterà per sistemarsi per il resto della propria vita.

Fast & Furious 5 Fredo

È un modo per dare gravitas a quella che in fondo è solo una rapina, per quanto su larga scala, ma è anche un modo per cominciare, o provare a cominciare, a chiudere alcune parentesi per questi personaggi che ormai da cinque film non possono stare tranquilli più di cinque minuti nello stesso posto (e se non sta succedendo nulla ci pensano loro a inventarsi qualcosa). Brian e Mia in particolare sono i veri destinatari finali del dono di Dom: facciamo quest’ultima rapina, dice, e potrete sparire nel nulla in un qualche luogo senza estradizione per godervi la vita e il figlio in arrivo. Ma anche il resto della banda ha motivi altrettanto validi per voler rischiare tutto per rapinare il cattivissimo Reyes. E più di tutti ce li ha lo stesso Dom: Reyes è il responsabile dell’omicidio di Letty, che gli ha tolto ogni voglia di vivere e con essa ogni limite o istinto di autoconservazione.

Fast & Furious 5 è quindi un film di vendetta, ma è anche un film sul sogno di ogni criminale di fare il colpo definitivo che gli permetterà di non essere più un criminale – come se lo scopo di rapinare banche e furgoni portavalori fossero i soldi e non l’adrenalina del colpo. È un film più cupo dei predecessori, basta vedere come si apre: musica soft e immagini crepuscolari, a confronto con i neon e i corpi seminudi e sudati dei film precedenti; è il primo film del franchise nel quale la morte, la violenza e la perdita fanno davvero capolino, nel quale i membri della Famiglia iniziano definitivamente a prendere tutto molto sul serio.

Mia

Paradossalmente, il lato più leggero e divertente del film arriva da quello che dovrebbe essere un personaggio molto serio, Luke Hobbs, l’agente dei servizi di sicurezza che si mette sulle tracce di Toretto e la sua banda e la cui missione finirà per incrociarsi con il desiderio di vendetta proprio di Toretto (è utile in questo senso che il cattivissimo Reyes non sia solo cattivissimo, ma colui che de facto governa le favelas di Rio e tutto il crimine nella città, oltre a controllarne la polizia). Hobbs è il braccio violento e parecchio muscoloso della legge, ma il fatto che il suo ruolo esista grazie alle richieste dei fan su Facebook dice molto: è stato inserito nel franchise perché l’idea di vedere Dwayne Johnson e Vin Diesel fare a botte piaceva, ed effettivamente Justin Lin ci regala un gran bel combattimento tra i due non appena ne ha la possibilità.

Il punto è che Hobbs è talmente esagerato, talmente larger than life, più ancora della sua controparte criminale, che diventa quasi una parodia. Voluta, cercata ed efficace, ma anche divertente: è come se Dwayne Johnson fosse troppo anche per il resto del film, e ci volesse Vin Diesel per tenerlo a bada e trovargli la giusta dimensione in questo cineuniverso nel quale due macchine da corsa possono trainare una cassaforte per le strade di Rio usandola come arma contro la polizia corrotta. In altre parole, è chiaro fin dai primi secondi che quello che ci viene presentato come antagonista diventerà presto parte della Famiglia, perché è un personaggio troppo adatto al ruolo per venire sprecato in un film e poi sonoramente sconfitto.

Dwayne Johnson è indicativo anche di un altro grande merito di Fast & Furious 5. E cioè: il fatto che manchi tutto l’umorismo e la spacconeria che c’erano nei film precedenti, sostituiti dalla tetra rabbia di un gruppo di criminali incazzati per la morte di una di loro, non significa che il film sia più ancorato al terreno, che punti più in basso in nome di un supposto realismo. Anzi: tutte le parole grosse che i protagonisti non pronunciano vengono egregiamente sostituite dall’azione pura. Justin Lin aveva già dimostrato fin da Tokyo Drift di sapere come gestire la velocità e i motori. Fast & Furious 5 mette in mostra tutta la sua creatività e la fa sfogare in un parco giochi gigantesco, che coinvolge decine di macchine e gli lascia la possibilità di farne esplodere, schiantare o spappolarsi contro un muro una quantità non indifferente.

In un certo senso è con Fast & Furious 5 che il franchise salta del tutto lo squalo, e per una volta non con accezione negativa: da qui in avanti il suo nome diventerà anche sinonimo di stunt assurdi, di coreografie sovrannaturali e di momenti d’azione che sfidano le leggi della fisica e le sconfiggono senza battere ciglio. Da un lato, quindi, Fast & Furious 5 va alla ricerca la ricerca di un’emotività e di un coinvolgimento più personali, di un’umanità un po’ assente dai capitoli precedenti; dall’altro comincia la sua personale corsa a superarsi come assurdità e pura e semplice dimensione dell’azione. È l’inizio di una nuova storia, che porterà una quantità inimmaginabile di denaro nelle tasche dei suoi protagonisti, e che proseguirà la prossima settimana con Fast & Furious 6, noto anche come Fast Retcon.

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