Questo articolo fa parte della rubrica Tutto quello che so sulla famiglia l’ho imparato da Fast & Furious

Fast & Furious 7 è l’unico film del franchise del quale preferiremmo non dover parlare mai, e non certo perché sia brutto o perché il povero James Wan abbia qualche colpa. Il problema è che il settimo capitolo della saga esiste a cavallo tra un prima e un dopo: è l’ultimo ruolo cinematografico di Paul Walker, morto tragicamente durante le riprese, ed è quindi l’ultima apparizione del suo Brian O’Conner in F&F.

È un addio, ma non lo sarebbe dovuto essere: è vero che il personaggio stava già da un paio di film flirtando con un tranquillo ritiro dalle scene per godersi moglie e figlio, ma suvvia, ci credevate davvero nel 2013 quando ad Abu Dhabi si cominciarono a girare le prime scene?

Gaisone

No, Brian O’Conner era parte integrante delle fondamenta stesse di Fast & Furious quanto lo è Dominic Toretto, e se una tragedia non ce lo avesse portato via sarebbe ancora lì, nella famiglia, a salvare il mondo dai terroristi. Ma la tragedia è avvenuta, e Fast & Furious 7 si ritrova quindi nella scomoda situazione di essere, senza volerlo e senza davvero la possibilità di farci granché, il film d’addio alla saga di Brian O’Conner, e un omaggio da parte di Vin Diesel a un amico vero, anche al di fuori dei confini del set. Al tempo le riprese vennero interrotte e per un certo periodo sembrò anche che non dovessero più ripartire; ma ovviamente Fast & Furious non è solo famiglia e un pezzo di cuore ma anche un investimento finanziario gigantesco, una macchina impossibile da fermare una volta messa in moto.

Il risultato è che Fast & Furious 7 è stato girato, è stato completato anche grazie ai fratelli di Walker, e ha anche incassato proprio quelle cifre spaventose che gli exec senza cuore speravano quando avevano deciso di non fermare il progetto. E oggi riguardarlo lascia addosso un misto di tristezza, malinconia, rabbia e anche nostalgia che trascende la storia raccontata e anche le vicende più ampie della famiglia Toretto, e che lascia un gigantesco buco a forma di Paul Walker in ogni inquadratura, comprese quelle in cui a comparire è proprio Walker.

Ramsay

Ciò detto, non conoscevamo Paul Walker personalmente, ma ci piace pensare che avrebbe apprezzato l’addio pensato per lui dai suoi compagni di avventure. Ne abbiamo già parlato: Fast & Furious ha cominciato a cambiare faccia con il quarto film, e da allora ogni capitolo si è trasformato in una gara per superare i limiti imposti dal precedente, una lunga rincorsa ad alzare l’asticella il più possibile dimenticandosi nel frattempo di piccolezze come la logica o le leggi della fisica. Ogni Fast & Furious contemporaneo è riassumibile nella sua scena più clamorosa: il quinto è “quello della cassaforte”, il sesto “quello dove un aereo in fiamme partorisce una macchina guidata da Vin Diesel”. Fast & Furious 7 è il passo evolutivo successivo: un film in cui ogni sequenza fa a gara con le altre per finire citata in quella singola frasetta.

A dirla tutta la competizione non è così accesa come potrebbe sembrare: per tutta una serie di ragioni che vanno dal valore sentimentale al puro e semplice impatto visivo dell’idea, Fast & Furious 7 è e resterà sempre “quello del salto dai grattacieli”, l’ultima vera grande follia di Brian O’Conner e Dom Toretto.

È una sequenza che è la perfetta rappresentazione della filosofia degli ultimi Fast & Furious, film concepiti a partire da poche, semplici domande: qualcuno ha già fatto questa cosa prima di noi? C’è un motivo per cui non dovremmo farla? Quanto costa? Nel corso delle riprese sono state distrutte qualcosa come 230 macchine, e solo per l’inseguimento sull’autostrada di montagna ne sono andate in pezzi 40. È chiaro che una produzione del genere non ha veri limiti a parte quelli imposti dalla fisica dei corpi, che qualsiasi idea è buona finché si trova uno stunt abbastanza pazzo da provarci. Che la scena del grattacielo passerà alla storia perché è quella con l’idea creativa più assurda alle spalle, ma anche che tutto il resto di ciò che si vede nel film sarebbe, altrove, in una saga con meno ambizioni e meno soldi, una scena madre indimenticabile.

Fast & Furious 7 ci regala anche quello che fino al film successivo resterà il miglior villain della saga: Deckard Shaw è una macchina da guerra uscita diretta dai migliori anni Ottanta, un tizio che si lascia alle spalle una scia di cadaveri ed esplosioni ovunque vada, fosse anche a fare la spesa, e Jason Statham gli presta volto, fisico e una gran voglia di spaccare il mondo. Era da tempo che non lo si vedeva così in forma, e forse per la prima volta nella storia della saga Toretto e famiglia si trovano di fronte a qualcuno che dà l’impressione di poter fare dei danni permanenti. Il risultato è un film che, pur non essendo meno esagerato o assurdo, è lievemente più serio, se non altro perché la posta in palio è decisamente più alta del solito.

Fast & Furious 7 Dwayne

Riguardando certe scene – in particolare quella del lancio delle auto dall’aereo – ci si potrebbe chiedere dove stia il confine tra “sto girando un film” e “sto girando una cosa difficilissima e pericolosissima e molto spettacolare per il puro gusto di farlo”. Eppure c’è un motivo se Fast & Furious 7 ha incassato un miliardo e mezzo di dollari ed è stato salutato con entusiasmo persino da una fetta consistente della critica: pur stirando l’incredulità collettiva film dopo film, il fatto che dentro quelle macchine ci siano quei personaggi è il vero motivo per cui continuiamo a tempestare di soldi questa saga. E il fatto che dentro quella Lykan HyperSport ci sia Brian O’Conner è il motivo per cui quel salto da un grattacielo a un altro a un altro ancora è più di un semplice salto.

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