La pantafa o pantafica (o pandàfreche, o pandàfele, o pandàseme, secondo questo studio) è una creatura del folklore italiano, in particolare di Marche e Abruzzo ma con equivalenti più o meno simili in tutta la penisola. Pantafa è anche il titolo del nuovo film di Emanuele Scaringi in uscita al cinema il 30 marzo (guarda una clip esclusiva), e già di per sé questa è un’ottima notizia. L’Italia ha una tradizione mitologica e folkloristica ricchissima, figlia di tradizioni millenarie e della loro interazione non sempre pacifica con la religione cattolica; dall’estremo Nord al profondo Sud, o se preferite da Trieste in giù, in tutto il Paese si incontrano storie, leggende, fiabe e altre forme di narrazione popolare che parlano di fantasmi, mostri, violenza e in generale tutto l’armamentario (anche) dell’horror cinematografico (prendete per esempio la festa dei serpari in Abruzzo e diteci se non è una potenziale ottima trama da vendere alla Blumhouse). E questa tracimante tradizione è stata a lungo ignorata dal cinema italiano in primis, impegnato a inseguire altre culture più cool.

Pantafa è quindi una buona notizia per principio, ed è ulteriormente migliorata dal fatto che non è l’ultima di questi anni. Non arriviamo ancora a dire che il folk horror (e il folk qualsiasicosa, in generale) sia finalmente esploso, ma è da qualche anno che sta quantomeno rialzando la testa e lottando per farsi notare. E in fondo, lasciatecelo dire, che cos’ha Midsommar che noi non abbiamo? In questo Paese c’è bisogno di più horror (il perché, se volete, ve lo raccontiamo in separata sede), e c’è particolare bisogno di horror che guardi a noi e alle cose che ci terrorizzano come popolo da secoli – troll, vampiri e zombie non sono “cosa nostra”, in compenso abbiamo una collezione infinita di streghe (e streghi!), uomini neri e altre creature mostruose.

E quindi, nella speranza che Pantafa sia solo un altro capitolo di un libro in espansione incontrollata, eccovi sette film da guardare per tuffarvi nell’orrore come solo noi sappiamo farlo – più un consiglio collaterale finale.

Pantafa ACHS

A Classic Horror Story

A dispetto del titolo, il film di Roberto de Feo e Paolo Strippoli è in realtà una storia dell’orrore tutt’altro che tradizionale, anzi molto moderna se non post-moderna, financo meta-cinematografica. Questo, però, lo si scopre solo dopo un po’, perché l’impianto iniziale di A Classic Horror Story, come quello di Pantafa, si poggia saldamente su una leggenda del folklore italiano, quella di Osso, Mastrosso e Carcagnosso – che curiosamente ha origine in Spagna, e che da noi è legata anche alla nascita della ‘ndrangheta.

Il legame

Forse un giorno ci ricorderemo di Il legame come di un apripista: uscito un anno prima di ACHS, è una classica (questa volta davvero!) storia di fantasmi strutturata come un horror americano ma che si appoggia a una serie di leggende e credenze popolari italiane (e in questo ricorda da vicino proprio Pantafa). La sceneggiatura di Domenico de Feudis (anche regista), Davide Orsini e Daniele Cosci pesca a piene mani da uno dei saggi fondamentali sulla questione “magia e Meridione”. Ne avevamo parlato qui (del film, non del saggio).

Il primo re

Vale come “folklore italiano”? In fondo veniamo (anche) da lì, dalla fondazione di Roma e dalla leggenda di Romolo e Remo. Non è un horror, ma è abbastanza violento ed epico da saziare un po’ della vostra sete di sangue. Matteo Rovere ha poi ripreso il discorso in TV, con la serie Romulus, che dimostra una volta di più quante storie potremmo raccontare senza andare per forza a pescare nelle mitologie altrui.

Kunta Kinte

Il racconto dei racconti

Il film di Matteo Garrone non è un puro horror, anzi come ogni buon film antologico esplora diversi generi, ma quando decide di ricordarci che la nostra tradizione straborda di cose spaventose lo fa con un’efficacia rara.

Il segreto del bosco vecchio

Dimenticato capolavoro di Ermanno Olmi con Paolo Villaggio in uno dei ruoli della vita, il film è tratto dall’omonimo romanzo di Dino Buzzati, uno che aveva capito prima di tutti quanto materiale ci fosse nella nostra tradizione e quanto si potesse piegare e adattare anche a storie più moderne. Più fantasy che horror, riesce comunque a restituire con estrema efficacia il senso di isolamento e anche smarrimento che si prova a trovarsi immersi nella natura, lontani dai nostri rumori e dalle nostre preoccupazioni. Sempre tratto da Buzzati e su tematiche e con atmosfere simili vi segnaliamo anche Barnabo delle montagne di Mario Brenta.

Casa finestre ridono

La casa dalle finestre che ridono

È sempre brutto fare ragionamenti puramente su base geografica, ma non c’è dubbio che le tradizioni del Centro-Sud Italia abbiano fatto presa sull’immaginario collettivo più di quelle nordiche (il che è un peccato: basterebbe per esempio una full immersion nelle leggende del Trentino per trovare materiale per un intero cineuniverso). La casa dalle finestre che ridono rimane un film unico anche per questo motivo: per la prima volta a fare da sfondo a un horror (o a un giallo, se preferite) non era il meridione ma la notoriamente e famigeratamente noiosa Bassa Padana (il film è stato girato a Comacchio, terra di lidi, paludi e zanzare). (nda chi scrive ha radici nella Bassa da entrambi i rami della famiglia ed è quindi autorizzato a parlarne così)

Non si sevizia un paperino

Non ci sono mostri o creature sovrannaturali, e non c’è neanche del vero folklore, ma nel film di Fulci c’è il ritratto di un’Italia che nel 1972 non aveva ancora mai trovato spazio al cinema al di fuori del neorealismo più spinto, un luogo distante dalle grandi città, apparentemente senza tempo e abbastanza diverso da sembrare un altro Paese, con regole e dinamiche tutte sue (non a caso una delle protagoniste è la figlia di un ricco imprenditore milanese che l’ha spedita in campagna per tenerla lontana dalle tentazioni della città). Vedetela così: non è ancora folk horror, ma tra qualche decennio lo sarà diventato.

Saturnalia

Saturnalia

Non è un film ma un videogioco, ma è esattamente quello che ci serve per questo discorso (ed è peraltro abbastanza scritto da contenere senza fatica il materiale per un film). Ambientato in un immaginario paese della Sardegna che assomiglia a un labirinto, ispirato dal folklore locale (dai mamuthones e gli issohadores in giù), unisce a questi spunti da (perdonateci la sfilza di parole inglesi) folk horror un’estetica lo-fi con animazioni ispirate alla stop motion, e una colonna sonora fatta di musica tradizionale rivista in stile Goblin. Cosa volete di più?

Pantafa esce al cinema il 30 marzo: nel cast Kasia Smutniak, Greta Santi e Mario Sgueglia.

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