Il Bad Movie della settimana è Hunger Games: la ballata dell’usignolo e del serpente, uscito al cinema il 15 novembre.

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Old Adult

L’occasione dell’arrivo nelle nostre sale di Hunger Games – La ballata dell’usignolo e del serpente, ci porta a chiederci: come sono invecchiati questi testi cinematografici da libri young adult best-seller? Parliamo della saga Hunger Games tratta dai romanzi di Suzanne Collins (3 bilioni di dollari incassati dai quattro film precedenti dal 2012 al 2015) che poi avrebbe influenzato Maze Runner (2014), Divergent (2014; forse il franchise più simile), La Quinta Onda (2016) e Fallen (2016; beccammo la scrittrice Lauren Kate a Giffoni nel 2015 e per lei Suzanne Collins all’epoca era “la nostra leader”). Tutti testi che spesso hanno a che fare con nuovi governi dispotici nella distopia di un futuro dove il fragile e complesso equilibrio geopolitico del mondo di oggi è diventato uno scenario più semplice e spietato grazie a risorgenti dittature e spietate élite politiche che creano dolorosi sistemi di governo o letali iniziazioni belliche per la classe dirigente di domani. I libri Twilight (2005-2008) di Stephenie Meyer avevano usato le maschere horror del vampiro e del lupo mannaro per avvertire e suggerire circa un bipolarismo sessuale maschie verso cui la giovane statunitense eterosessuale si sarebbe diretta: il distaccato e probabilmente bisessuale “vampiro” o l’asfissiante e manesco “lupo mannaro”?

La trilogia cartacea Hunger Games (2008-2010) avrebbe dovuto parlare alle future leader politiche di domani per abituare la donna a considerarsi guida e non soldatino, non manipolabile in chiave sessuale, attenta ai mentori di altre generazioni forse ormai inutili e sempre paternalisti (Alma Coin per Katniss Everdeen dentro Hunger Games). Era effettivamente un’altra epoca. Meyer si rivolgeva a future innamorate e coniugate etero un po’ come avrebbe fatto Jane Austen nei primi anni del 1800. L’autrice di Hunger Games Suzanne Collins la possiamo avvicinare più al nostro Machiavelli.

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In vista della possibile vittoria politica di Hillary Clinton alle elezioni presidenziali Usa del 2016, gli Hunger Games sembravano il parallelo narrativo perfetto per quell’importante e iniziale momento pro-donna dentro la nostra società Occidentale. Poi purtroppo sappiamo come è andata a quelle elezioni politiche. Il cinema aveva scelto un’altra direzione: l’ultimo Hunger Games dove Katniss diventa la guida del mondo di domani e va a letto con un uomo fisicamente grande la metà di lei (il cinema è immagine e bastava vedere Katniss entrare nel lettone coniugale con Peeta Mellark per capire che lei era tutto e lui quasi niente) esce in sala nel 2012 mentre Trump vince a sorpresa il 9 novembre 2016.

Meyer oggi potrebbe essere accusata di essere old perché eteronormativa (il futuro sessuale della donna statunitense di domani non deve essere per forza eterosessuale alla Jane Austen) mentre Collins oggi torna davanti ai nostri occhi in un prequel grazie a un altro adattamento del regista veterano Hunger Games Francis Lawrence per raccontarci il cursus honorum (o meglio dedecorum) del Presidente Coriolanus Snow. Ai tempi di Katniss era un sorprendente e cattivissimo Donald Sutherland che non dobbiamo mai dimenticare essere stato al cinema, tranne il fascista Attila di Bertolucci per Novecento, il carceriere di Sorvegliato speciale o la spia nazista seduttore ne La cruna dell’ago, spesso simpatico per non dire simpaticissimo e goliardicamente antigovernativo grazie al successone di M.A.S.H. di Altman.

Ora Coriolanus Snow non è il gelido dittatore di 64 anni avanti nel tempo bensì un ragazzino affamato come i gladiatori della decima edizione degli Hunger Games ambientati più di mezzo secolo prima rispetto all’avventura d’esordio della nostra Katniss Everdeen, interpretata da Jennifer Lawrence.

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Days of Hunger

Un tema che risuona oggi dopo la guerra Russia-Ucraina e Israele-Hamas: l’odio regnerà tra questi popoli per le prossime generazioni. Per i futuri 50 anni avremo a che fare con traumi infantili che diventeranno vendette adulte sul campo di battaglia e nella propaganda politica, trascinando ferite mentali ed enormi ostacoli dentro un possibile percorso di pace e dialogo. A Panem, in questo prequel al primo Hunger Games libro e film, si respira la stessa aria. Gli sconfitti si leccano rancorosi le ferite mentre i vincitori devono trovare un equilibrio governativo. Ci troviamo esattamente in questa zona emotiva per i giovani virgulti di Panem. I vincitori, che contestano Hunger Games sconclusionati, senza scaletta e con presentatori giullari a volte critici nei confronti del Sistema (il personaggio interessante di Lucretius “Lucky” Flikerman nonno, presumiamo, del Ceasar Flickerman interpretato da Tucci nella saga con Jennifer Lawrence) sono chiusi nelle loro accademie e scuole di élite dove si respira un’aria Harry Potter per il rapporto studenti-insegnanti, liste dei Prof amati e/o odiati, lignaggi e retaggi familiari con segreti genitoriali che i figli non conoscono proprio come nelle pagine di J.K. Rowling. I ribelli-sconfitti a loro volta ancora riescono a organizzare attentati formidabili dentro l’arena in cemento armato sgraziato (ce ne è uno ottimamente girato da Lawrence nel film), tramano nell’ombra per boicottare gli Hunger Games e quando devono pagare il “tributo” all’intellighenzia di Capitol City lo fanno obtorto collo e con sguardi di odio puro. Eppure tra i due personaggi di Coriolanus Snow e Lucy Gray Baird però il rapporto è meno lineare.

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Giovinezza di un leader

Brady Corbet ha girato un grande film, da Jean Paul-Sartre, sui primi anni di traumi familiari di un futuro dittatore con L’infanzia di un capo (2015), peraltro con una star nata dal cinema young adult del periodo 2005-2012 come Robert Pattinson, pilastro della saga Twilight. Qui Lawrence, che ebbe il beneficio di leggere il manoscritto de La Ballata dell’Usignolo e del Serpente dalle mani dell’autrice prima della sua uscita nelle librerie del 19 maggio 2020, ha basato tutto il suo film nel presentare due personaggi anticonformisti che escono da questa sceneggiatura già scritta e letta che contrappone i Vincitori di Capitol City e i Vinti di tutti i distretti da 1 al 12 ovvero il peggiore di tutti. I due leader del film sono una deviazione dall’equazione geopolitica di Panem. Perché?

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Corio + Lucy

Coriolanus è povero, in difficoltà come membro di una casata agli sgoccioli (motto stile Trono di spade: “Gli Snow si posano in cima”) e ha fame. Odia i ribelli sconfitti perché i suoi genitori sono morti durante la Guerra (ecco i giovani che diventeranno grandi e che vedremo nei prossimi 50 anni aumentare vertiginosamente la tensione sia tra Russia e Ucraina che tra Israeliani e Palestinesi) ma odia anche molte casate dentro Capitol City ed è a sua volta sottovalutato e disprezzato dall’inventore degli Hunger Games Casca Highbottom interpretato da Peter Dinklage. Sostanzialmente è un outsider, un ribelle dell’élite, un reietto dentro Capitol City e un fattore di destabilizzazione più che di nuovo controllo. Questa sua imprevedibilità piacerà molto all’inquietante Dottoressa Volumnia Gaul di Viola Davis. In questo momento ancora incerto e claudicante dello scenario post-Guerra, il futuro di Corio non è chiaro in primis a lui stesso, che ha il fardello di occuparsi della cugina Tigris (che eleganza Hunter Schafer) e della “signora nonna”, sempre relegate in case disadorne e senza cibo aspettando che l’uomo di famiglia le tiri fuori dai guai. Corio, più che comandare, deve dunque sopravvivere. Quando dovrà fare da mentore a un tributo femminile del distretto 12, lei si accorgerà mentre lui le consegna del cibo che ha fame pure Coriolanus (scena ottima).

Lei è Lucy Gray Baird, una gitana Covey che dentro la trilogia Smetto Quando Voglio verrebbe chiamata “sinti”. Qualcuno l’ha descritta come anti-Katniss: è meno sobria nel vestirsi, manipolatrice, sessualmente affamata (è lei che azzarda il primo bacio a Corio e non il contrario), meno stoica, in viaggio costante e quindi quasi avulsa dallo scacchiere politico che tanto senso ha in questo prequel: essendo una nomade per lei non è centrale che ruolo avrà nel futuro scenario diplomatico di Capitol City de dei Distretti. Bruna, dalla gonna cromaticamente appariscente, grande cantante soul, vendicativa, esasperata da storie d’amore che la mettono in rivalità con uomini e donne perché per ei conta solo la sincerità più brutale nei rapporti umani. Lucy, in un certo senso, è anche molto più frivola ed egoista rispetto alla stoica e quasi verginea Katniss Everdeen di Jennifer Lawrence. Dopo averla vista “santificata” da Spielberg in West Side Story e prima di capire che Snow White sarà nel prossimo live action Disney diretto da Marc Webb nel 2025, questa al momento ci sembra la prova più vispa, combattiva e “sporca” di un’ottima Rachel Zegler laddove Coriolanus Snow è un convincente Tom Blyth.

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Conclusioni

Non un granché la chiusa del film tra Corio e Lucy. La loro love story fuori dai binari di Panem meritava un epilogo con più pathos e meno debolezza registica. Il loro melodramma, che nella freschezza dei corpi ci ha ricordato il Romeo e Giulietta di Zeffirelli del 1968, doveva avere un momento più forte rispetto a quello contenuto nel final cut. Forse hanno voluto mantenere una fine così blanda per poi eventualmente espanderla in relazione agli incassi. Eh già perché, come per quanto riguarda Marvel, questi sono film che hanno un rapporto molto stretto con il box office. In passato il botteghino ha premiato il movimento young adult di romanzi e film soprattutto in relazione a un nuovo protagonismo del femminile dentro il racconto di formazione sentimentale (Twilight) e politico (Hunger Games). Se c’è ancora spazio per questo tipo di prodotto lo capiremo analizzando gli incassi senza dimenticare che se non fosse stato per Twilight e Hunger Games non saremmo arrivati in questo 2023 a Barbie. E poi concludiamo con una riflessione: il 5 novembre 2024 Donald Trump potrebbe tornare Presidente degli Stati Uniti d’America. È come se la Collins, che aveva scritto gli Hunger Games con la speranza che la prossima leader potesse essere donna (e ci andò assai vicino con Hillary Clinton) ora tema che Trump possa tornare. E allora ecco che Hunger Games – La ballata dell’usignolo e del serpente non è più la speranza della leadership femminile di domani quanto piuttosto una morality tale sul ricordo della formazione psicologica del possibile capo maschio di ieri che, attenzione, potrebbe tornare anche domani.

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