Non sappiamo se esista davvero l’aggettivo “deltoriano”, ma se esiste “kubrickiano” e “tarantiniano” perché non inventarne uno anche per il regista messicano? In fondo il suo stile è inconfondibile: un approccio cupo e goticheggiante, ma anche molto realistico e concreto, al fantasy, la costante ricerca della magia anche nel quotidiano (eredità del realismo magico di origini letterarie), una ricchissima immaginazione visiva che riesce a dare vita a creazioni indimenticabili e al contempo senza tempo perché ispirate al folklore e alle vecchie storie della nonna… è una breve descrizione che si adatta più o meno a tutta la filmografia di Guillermo del Toro, e che ha conosciuto il suo apice (per ora) nel 2006, con Il labirinto del fauno, che è una sorta di manifesto definitivo della poetica deltoriana e forse il suo film perfetto.

C’è una cosa che del Toro disse nel 2006 in un’intervista (nella quale peraltro cita anche il maestro Lucio Fulci, perché uno di suoi segreti è il buon gusto cinematografico) rilasciata in occasione dell’uscita di Il labirinto del fauno: “Sto per fare Hellboy II” diceva “poi spero di tornare in Spagna a chiudere la trilogia”. Il riferimento è al suo film precedente, La spina del diavolo, del quale abbiamo parlato di recente qui in occasione del suo ventesimo compleanno, e a un fantomatico terzo capitolo che per motivi non meglio specificati non è mai stato fatto (per ora).

 

Il labirinto del fauno il fauno

 

La spina del diavolo era un film ambientato durante gli ultimi anni della Guerra civile spagnola, prima che Franco salisse al potere; e quindi parlava di fantasmi, intesi sia come manifestazioni spiritiche spaventose, sia come le spoglie del passato di cui non ci si è mai liberati del tutto. Era un film che diceva che le cose irrisolte diventano fantasmi e ci perseguitano per tutta la vita, e lo faceva parlando contemporaneamente di uno spirito che infesta un orfanotrofio e della storia recente della Spagna. Il labirinto del fauno è un ideale sequel non tanto della storia di Santi il fantasma, ma di quella del Paese intero: ambientato nel 1944, all’inizio della dittatura franchista, riprende la stessa idea di parlare di guerra e di politica mascherandole da metafore, o meglio travestendole da mostri e altre creature fantastiche.

L’ispirazione cinematografica, come ha sempre detto lo stesso del Toro, è Lo spirito dell’alveare, un film spagnolo uscito nel 1973, dunque in pieno franchismo: per evitare di farsi censurare dal regime, il regista Victor Erice prese tutto quello che voleva dire sulla vita sotto il dittatore e lo mascherò da metafora, da favola e anche da parabola di crescita di una bambina qualunque. Del Toro non si è dovuto confrontare con lo stesso problema, e tutto quello che sa sul franchismo gliel’hanno raccontato le nonne spagnole. Questo non gli ha comunque impedito di girare un film altamente simbolico e allegorico, ma gli ha permesso di andarci più duro sui giudizi, e di fare discorsi più esplicitamente politici, ai confini con la satira e oltre.

 

Fata

 

D’altra parte lui stesso l’ha sempre detto: l’horror, e Il labirinto del fauno è anche un horror, è un genere intrinsecamente politico. Secondo del Toro ci sono due tipi di horror: quelli istituzionali, che ti dicono cosa fare e cosa non fare e ti spiegano a quali punizioni andrai incontro se dovessi disobbedire, e poi ci sono quelli che lui definisce “horror anarchici e contro l’establishment”. Il labirinto del fauno si piazza fieramente in questa seconda categoria: ci impiega poche scene a spiegare chi sono i cattivi (i franchisti) e a dipingerli come un branco di crudeli bestie assetate di sangue e con poco cervello (compreso il capitano Vidal, il padre della protagonista Ofelia), e la storia raccontata è quella di una persona che potrebbe essere l’eletta, ma probabilmente non lo è, ma con tenacia e pervicacia riesce alla fine a esserlo. Quella di Il labirinto del fauno sembra una classica storia di predestinazione (Ofelia non è una normale bambina ma la reincarnazione di una principessa delle fate), ma nel corso della sua parabola di formazione la protagonista si deve scontrare non solo con i più classici ostacoli e prove da superare per dimostrarsi all’altezza, ma con un momento ancora più sconvolgente, quello in cui la creatura che le ha dato una missione decide che si è sbagliata, e che non è lei la persona che stava cercando.

Tutto questo si svolge in primo piano mentre sullo sfondo del Toro dipinge il suo spietato ritratto della dittatura spagnola e degli sforzi rivoluzionari dei guerriglieri antifranchisti. A un primo sguardo potrebbe sembrare che i due aspetti della favola siano in contrapposizione, e coesistano a fatica e un po’ forzosamente: da un lato abbiamo giochi di potere e tradimenti che coinvolgono un ufficiale dell’esercito, dall’altro una bambina convinta di essere una principessa e che il grosso insetto che ha visto in giardino sia in realtà una fata. E invece del Toro riesce non solo a conciliare le due anime del film, ma anche a farle dialogare e a renderle interdipendenti.

 

Unghie

 

Il fauno esiste davvero oppure Ofelia si è inventata tutto, un meccanismo di difesa più che prevedibile per una bambina di dieci anni costretta a vivere in un incubo? Il labirinto del fauno gioca fino alla fine con la confusione tra i piani (la nostra opinione è che sia tutto molto vero, non solo metaforico, e che il fauno esista sul serio, almeno nell’universo del film), e in questo modo le cose che succedono nel labirinto e quelle che succedono con il capitano Vidal riescono a dialogare e intrecciarsi. Decisivo è il fatto che, come in La spina del diavolo, del Toro sceglie di evitare ogni stacco visivo tra le sequenze più realistiche e storiche e quelle più fantasy: il mondo del fauno e dell’Uomo Pallido con gli occhi sulle mani ha le stesse luci, gli stessi colori e le stesse atmosfere di quello dove il capitano Vidal sfascia la faccia a un poveraccio con una bottiglia perché lo sospetta di essere un pericoloso rivoluzionario.

I film successivi di del Toro si sposteranno sempre di più da questo equilibrio perfetto, solo sfiorato con La spina del diavolo e centrato in pieno con Il labirinto del fauno. In certi casi (La forma dell’acqua) punteranno di più sul realismo magico e di meno sulla pura immaginazione e il worldbuilding, in altri (Crimson Peak, ma anche Hellboy II) lo sbilanciamento sarà al contrario. L’ideale punto di mezzo tra queste sue due anime è ancora oggi custodito nel labirinto del fauno.

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