Il Bad Movie della settimana è L’esorcista – il credente, uscito al cinema il 5 ottobre.

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Mistero della Fede

La prima cosa che si può scrivere del primo capitolo della nuova trilogia di David Gordon Green dedicata al franchise l’Esorcista è che brancoliamo nel dubbio e non sappiamo molto. Quali sono le forze infernali in campo? A quali religioni appartengono? Sono demoni pagani arrabbiati per essere stati scalzati dal monoteismo come la furente entità assira Pazuzu del primo, e unico, capolavoro del franchise datato 1973 per la regia di William Friedkin? Oppure provengono dalla magia haitiana visto che qualcuno pratica un rito su qualcun altro proprio sull’isola caraibica all’inizio del film?

Oppure queste presenze occulte appartengono a un più laico luogo spiritico come propongono i Philippou in Talk to me ispirato all’Altrove inventato da Leigh Whannell per Insidious (2010)? Non lo sappiamo. Anche dopo aver visto questo interessantissimo primo capitolo firmato David Gordon Green in cui la saga nata dal libro di William Peter Blatty, edito nel 1971, trasporta la possessione diabolica dentro Stati Uniti rurali di oggi, in una cittadina della Georgia dove tutti si conoscono come nella Haddonfield, Illinois, di Halloween. Incontreremo tradizionali famiglie bianche cristiane e più nervosi nuclei di congiunti neri (un padre vedovo e una figlia indipendente), squadre di esorcisti improvvisati, ritorni di miti cinematografici (Ellen Burstyn come già Green utilizzò Jamie Lee Curtis nei suoi remake di Halloween) e neo-solidarietà femminile.

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Black & White

Stavolta sono due le ragazzine possedute. Una bianca (Katherine), una nera (Angela). Il centro della scena è più affidato ad Angela Fielding e a suo papà Victor, fotografo vedovo (o fotoreporter, sempre vedovo, come Augie Steenbeck di Schwartzman in Asteroid City di Anderson?) completamente ateo, perché traumatizzato, interpretato con eccellente personalità da Leslie Odom Jr., che già apprezzammo come lucido e calcolatore Sam Cooke in One Night in Miami (2020) di Regina King. La famiglia black è scattante, spiritosa, moderna e sempre rimproverata da un’infermiera, che odora white trash lontano un miglio, loro vicina di casa incavolata perché quei due non sono bravi a rispettare le regole della comunità per lo smaltimento dell’immondizia. La famiglia white è più ingessata, tradizionale, radicata, potente a livello finanziario e però scossa da segreti e bugie (questo è un film dove i padri maschi sono colpevoli sempre di qualcosa). Katherine e Angela, che bofonchiano a lezione di piani proibiti da mettere in scena insieme (bella scena misteriosa), si frequentano all’insaputa dei genitori e questa debolezza dei grandi che non riescono più a controllare i piccoli nelle nostre comunità è qualcosa che abbiamo visto anche nel prodigioso Talk to me dei Philippou, con genitori sempre terrorizzati e agghiacciati dalla distanza tra loro e figli sempre pronti a morire ed essere dannati.

Persesi nei boschi di questa Georgia non metropolitana (hanno incontrato una strega modello The Witch di Eggers?), le due adolescenti stanno fuori tre giorni (e Green non ci mostra niente di ciò che accadde) mentre la dodicenne Regan del film del 1973 si faceva invadere da Pazuzu nella sua bella casa di Washington, distretto Georgetown University, dove la mamma famosa era andata a recitare in un film. Quando scatta la possessione senza una chiara origine (voce cavernosa, frasi oscene, cicatrici sulla pelle a formare richieste di aiuto come nell’originale, capacità di far roteare la testa agli con esiti letali) il regista David Gordon Green, da sceneggiatura firmata da lui + Peter Settler, fa due cose estremamente rilassanti che ci auguriamo verranno sviluppate nei prossimi due film della trilogia:

  1. Crea una task force sui generis perché il Vaticano non manda più suoi uomini (perché la diocesi cattolica si è estraniata dalla lotta che l’ha sempre vista in prima linea?);
  2. Crea una profonda ambiguità nel finale, che pare citare un elemento forte di The Dark Knight di Nolan, sulla responsabilità morale di noi esseri umani quando non cediamo a concetti come “mors tua vita mea” o “homo homini lupus”.

Come anche in Barbie, rispunta la parola patriarcato (1 volta sola rispetto alle 9 e passa del film di Gerwig) volta in questo caso a significare un controllo maschile della difesa della donna modello cavaliere medievale che deve difendere damigella in pericolo (su questo concetto consigliamo sempre la visione dell’arguto ma sottovalutato The Last Duel di Ridley Scott). A pronunciare la parola patriarcato in questo film è un personaggio di nome Chris MacNeil.

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Chris & Regan

Green era stato molto bravo a dare al nuovo Halloween un vestito da denuncia e reazione contro il femminicidio (argomento purtroppo assai popolare in Italia). Le donne si univano per massacrare il maschio armato di coltellaccio che nei vecchi slasher le uccideva penetrando i loro corpi indifesi, marchiati dalla colpa della promiscuità sessuale. In una chiave quasi “cameroniana” il regista allenava Jamie Lee Curtis alla lotta permettendo l’alleanza con figlie, nipoti e nuove generazioni proprio a simboleggiare la fine di quel ruolo di vittime quasi sacrificali dentro la narrazione per cambiare -giusta ossessione hollywoodiana di oggi- la società occidentale di domani attraverso il concetto di oggetivazione. Qui Green fa la stessa cosa con Chris MacNeil, la mamma attrice interpretata da Ellen Burstyn, novantenne reduce dal primo film del 1973 a differenza di Friedkin (morto due mesi fa), Blatty (deceduto nel 2017), Jason Miller e Max Von Sidow (i due attori nei panni degli esorcisti simboli per Chris del “patriarcato” rispettivamente mancati nel 2001 e 2020). Chris MacNeil riemerge nella nuova trilogia de L’esorcista come simbolo politico (si ricorre a lei per aiutare Katherine ed Angela) così come Laurie Strode nei nuovi tre Halloween dal 2018 al 2022. Vedremo come verrà declinato il suo personaggio nei prossimi due capitoli. C’è da dire che la recitazione della Burstyn, ottima madre spietata in Pieces of a Woman quando aveva già 87 anni (2020), qui è un po’ troppo “cheesy” sia come livello di battute che come recitazione enfatica e sopra le righe rispetto agli altri del cast, molto più sobri e convincenti a partire da Anna Dowd (la vicina burbera poi infermiera ex suora leader degli esorcisti amatoriali) e il papà enigmatico di Leslie Odom Junior.

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Conclusioni

Le staremo col fiato sul collo. A chi? Alla saga, ad Angela (quell’inquadratura finale solleva dei dubbi), a Chris… e a quella persona speciale che Chris incontra nuovamente nel finale e che colloca L’esorcista – Il credente ancora più vicino al primo Halloween (2018) di Green. Nel caso dei remake da capolavoro di Carpenter, dopo l’ottimo inizio, Green ha calato la qualità dei suoi film sulla comunità di Haddonfield contro Michael Myers. Speriamo che, dopo questo primo film così interessante e foriero di domande, non succeda la stessa cosa per quanto riguarda il remake da capolavoro di Friedkin, che ignora tutti gli altri seguiti, piuttosto mediocri, del franchise come si deve fare oggi nei reboot.

Ma poi soprattutto… chi cavolo ha posseduto Katherine e Angela?

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