Ecco i migliori film di agosto 2022 che abbiamo visto al cinema o in streaming

Molto di quello che vediamo e raccontiamo con una recensione si perde. Alcune volte sono i film piccoli a non ricevere l’attenzione che meriterebbero, altre volte sono i migliori. Abbiamo così deciso di fare un piccolo riassunto ogni mese del meglio tra ciò che abbiamo visto. Senza distinzioni. Film usciti in sala, usciti in noleggio, usciti su una piattaforma in streaming come anche quelli visti ai festival e che non sono ancora usciti.

L’idea è quella di ricapitolare tutte le nostre segnalazioni scremando verso l’alto solo quello che pensiamo non vada perso, non debba sfuggire e meriti una visione. Ci saranno i film più noti e pubblicizzati come anche, con una certa preferenza, quelli che meno noti e dotati di una cassa di risonanza meno forte, che quando lo meritano hanno più bisogno di un riflettore su di sé per farsi notare.

I migliori film di agosto 2022

carter

Carter

“Per come è stato pensato e poi magistralmente realizzato, Carter di Byung-gil Jung potrebbe essere già un cult movie: due ore e quindici di puro piano sequenza (ma non purissimo, c’è il montaggio invisibile), uno storytelling da videogioco in prima persona, scene d’azione epiche e un intrigo internazionale tra le due Coree e gli USA che farebbe impallidire anche i produttori più coraggiosi. Ah, c’è anche un virus letale che sta sterminando la popolazione.”

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los ladrones

Los Ladrones: l’ultima grande rapina

“È decisamente accattivante il modo in cui Los Ladrones: l’ultima grande rapina gioca con le aspettative per raccontare un’incredibile storia vera. Costruito in modo cronologico attraverso interviste, immagini d’archivio e soprattutto una ri-messa in scena così palesemente costruita da essere essa stessa il punto d’attrazione, questo avvincente documentario di Matías Gueilburt fa rivivere con ironia e astuzia la “rapina del secolo” che a inizio anni duemila cinque uomini hanno compiuto in Argentina svaligiando una banca con un piano così creativo e perfetto da essere quasi una performance artistica.”

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the humans

The Humans

“Dietro il buonismo moralista di una famiglia media americana c’è una tetra consapevolezza di morte e peccato. Potrebbe essere una piéce di Tennessee Williams, e invece questo nucleo di ardenti non-detti che rende pesante l’aria durante una cena di Ringraziamento in un polveroso appartamento newyorkese è quello che aleggia gravemente in The Humansdi Stephen Karam. Adattato da una play di Karam stesso, qui anche sceneggiatore, The Humans con una grammatica cinematografica essenziale alterna l’immobilismo dei volti degli attori ad un’esplorazione onniscente, vagando per i muri e le pareti di una casa di Chinatown dove i fantasmi evocati dai protagonisti si scoprono come folgorazioni nei loro riflessi, nelle luci delle torce che illuminano scantinati e soffitte. L’effetto è magnetico, doloroso, tacitamente devastante.”

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200 metri

200 metri

“Film d’esordio del regista palestinese Ameen Nayfeh, 200 metri parte da un’esperienza estremamente personale (quella del regista stesso) per raccontare tramite una scottante tematica quale quella dei territori palestinesi occupati da Isreale. Attraverso un frammento di vita familiare e una storia piccola ma che chiama riflessioni complesse (la cui soluzione è tutt’altro che all’orizzonte) 200 metri ci pone con delicatezza e uno stile asciutto davanti – oltre che a problemi di grande portata politica – alla dignità perduta di un padre, di un uomo che vorrebbe vivere in pace ma che di fronte a un’emergenza rimette in discussione tutto.”

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prey

Prey

Alla fine non sarà nemmeno questione di inventare molto, Prey nasce derivativo sia nello spunto che nei personaggi che infine nel sottogenere, ma di aver profondamente compreso i propri modelli (tra cui ad un certo punto spunta anche Apocalypto) e sapere sempre cosa conti di più e quanto il senso del pericolo percepito sia importante per la definizione della tenacia, audacia, coraggio e determinazione della sua protagonista. Che più delle frasi e degli svolgimenti abusati, è il vero messaggio politico (se proprio uno ce ne deve essere) del film. Non le dichiarazioni ma gli atteggiamenti.

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fire of love

Fire Of Love

In anni in cui il cinema di fantascienza e azione più avanzato ha cancellato i villain e vuole semmai raccontare la sfida degli uomini contro l’ignoto, gli ambienti, il mondo o l’universo intorno a loro per sopravvivere, questo documentario sembra perfetto. A mettere insieme il materiale è Sara Dosa mentre a narrare c’è Miranda July, quindi un po’ c’è l’idea di trasformare tutto in materia da cinema indie americano (non è difficile visto quanto i due visivamente sembrino davvero partoriti dalla costumista di Wes Anderson), e farne una storia d’amore e fiamme come dice il titolo. Di certo c’è dentro questo documentario di grandissimo impatto, una quantità di immagini girate da Maurice Kraft che denunciano una capacità e un desiderio di capire il mondo tramite il cinema, di fare proprio cinema e non televisione, inquadrando e incastrando vulcani, lava e tutto quel che ne consegue in inquadrature piene di senso che impressiona. 

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first love

First Love

Quando però First Love si occupa dei suoi giovani amanti al primo amore le atmosfere sembrano avere la medesima qualità rarefatta e densa di tensione sentimentale della serie Normal People. In questa storia come tante altre che A. J. Edwards sembra aver rallentato esattamente come Nicolas Winding Refn ha fatto con il cinema d’azione con Drive (non intaccando il ritmo ma anzi aumentandolo proprio attraverso la lentezza) non corre sopra i consueti luoghi comuni, non li tratta come punti di una lista che vanno toccati, ma si sofferma su ognuno, se li gusta e in ogni momento tramite una recitazione curatissima esplora i personaggi e si chiede: “Quale minuscola variazione emotiva sta avvenendo dentro di loro adesso?”.

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not okay

Not Okay

Quinn Shephard scrive e dirige questo secondo film dimostrando una chiarezza di pensiero e una capacità di parlare di società attraverso strutture standard che non è comune. Soprattutto non dimenticando nulla, anche di coinvolgere “gli altri” nella sua critica. Danni infatti lancia l’hashtag #ImNotOkay che riscuote un gran successo perché consente a tutti di potersi professare vittima di qualcosa, di mettersi nella posizione di essere quelli da compatire. Né Quinn Shephard dimentica di dare una spallata alla vera rabbia di protesta, disegnando la vera vittima amica di Danni con i toni furiosi di Greta e poi trovando in un eccezionale finale un rispetto vero per le vere vittime che non salva la protagonista ma anzi la condanna ad una vergognosa uscita di scena priva di redenzione.

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