È difficile da immaginare oggi, in un periodo in cui l’avventura del cinema di serie B è amata e adorata, ma non tutti ammirano quello che ha fatto Roger Corman

La morte di Roger Corman ha riportato su tutte le testate i suoi incredibili trionfi e la maniera in cui, dal basso e lavorando sulla parte più commerciale del cinema, ha contribuito a cambiare la parte autoriale. Corman non è stato solo la persona che, come ricordano in molti, ha fatto lavorare una gran quantità di talenti che poi, grazie all’esperienza fatta con lui, hanno potuto fare i loro film (Scorsese, Ron Howard, Coppola, Bogdanovich, Jack Nicholson, Jonathan Demme e via dicendo), non è stato solo un distributore di film d’autore stranieri in America (inclusi vincitori di palme d’oro come Fitzcarraldo) ma ha anche cambiato l’idea di come si faccia cinema.

Il cinema indipendente prima di Roger Corman

Prima di Corman la produzione indipendente, in America, era una landa desolata e disperata in cui si poteva avventurare solo una star con soldi da spendere e idee da mettere in pratica come John Cassavetes (lui sì un pioniere come nessun altro). Le sue tecniche, il suo approccio spregiudicato, il suo miscuglio di bassi istinti stimolati e grande libertà ai ragazzi, ha creato degli standard su cui si è potuto lavorare per i decenni successivi.

Il caso più clamoroso ed evidente (ma di certo non l’unico) è Easy Rider, uno dei film più importanti per i suoi anni, che fu possibile perché poco prima Corman  aveva scoperto Jack Nicholson e aveva girato Wild Angels (sempre con Peter Fonda), un progetto al di fuori degli studios, come sempre. Ma anche perché aveva girato diversi film di exploitation sia di moto che di LSD, di fatto mostrando cosa si poteva fare e come, creando una grammatica e un pubblico che poi Easy Rider ha capitalizzato al massimo. Ma è davvero solo un esempio, se ne potrebbero fare mille altri.

I selvaggi roger corman
I selvaggi (1966)

All’epoca (negli anni ‘60, ‘70 e ‘80) Corman era una figura controversa negli Stati Uniti, meno in Europa dove quel modo di fare è sempre stato considerato avventuroso, personale, esaltante e in molti sensi “d’autore” come lo possiamo intendere solo al di qua dell’oceano. In patria la critica più semplice e diretta, e in molti casi la più concreta e vera, era che i film erano brutti. Molti, moltissimi, lo sono effettivamente. Una più sofisticata era invece che non contribuisse davvero all’avanzamento del cinema, ma che anzi contribuisse all’abbassamento del gusto del pubblico e all’aumento del suo conto in banca. Chi fa così di solito non viene considerato tra i grandi.

La cosa più vicina a Corman è stata la Asylum

Oggi il nostro punto di vista è completamente diverso. Nel clima culturale del presente, quello post postmoderno, post Tarantino, post rivalutazione, quello dell’esaltazione per la capacità del cinema di serie B di divertire e del filmmaking come avventura, Corman non può essere controverso, è un eroe e basta. Noi parliamo e pensiamo da un’era in cui quel tipo di film come li faceva lui non esistono più, non esiste cioè più un cinema di bassa lega e grande successo, il mestierante o l’artigiano che fa film in serie, l’exploitation quella vera non c’è perché non c’è un pubblico per essa. La cosa più vicina a Corman è stata (e per certi versi ancora è) la Asylum, che ci piace proprio per il suo spirito spregiudicato, ma non ha successo nel senso convenzionale del termine. In un certo senso sono le piattaforme i nuovi Corman, posti in cui è stato più facile fare film anche per esordienti ma con molti limiti e su temi ripetitivi, è lì che si producono 100 film di Natale tutti uguali a costo zero e con delle star in pensione sfondate di chirurgia plastica. Ma quello non ci piace perché sono film che effettivamente finiamo a vedere (a differenza di quelli della Asylum di cui guardiamo copertine e titoli) e scopriamo che sono orrendi.

femmine in gabbia corman
Femmine in gabbia di Jonathan Demme

L’affondo di Paul Schrader

Dunque con la mentalità del 2024, quella dell’amore per film sfrontati e spregiudicati che non guardiamo, è difficile da immaginare ma non a tutti piace Roger Corman, nel senso che non tutti ritengono il suo un contributo a livello dei grandi del cinema. Per fortuna non c’è nessun bisogno di schierarsi, specialmente nel giorno in cui è stata annunciata la morte di Corman, possiamo tranquillamente capire entrambe le posizioni e trovarne di intermedie. Un cineasta come Paul Schrader, non nuovo a opinioni impopolari, su Facebook ha scritto un breve ed incisivo messaggio che invita a ridimensionarlo:

ROGER CORMAN. Non facciamo troppo i sentimentali su Corman. Anche nei miei estremismi exploitationisti non sono mai riuscito a impressionarlo con le mie sceneggiature. Rolling Thunder è partito alla AIP ma si è spostato alla 20th. Roger non si sarebbe avvicinato a Blue Collar manco con Pryor. E non appena hanno potuto, Coppola, Scorsese e Demme hanno lasciato la AIP. Roger era più bravo a entusiasmare i suoi agenti che a fare bei film o sostenere bravi registi.

Di nuovo, non c’è nessun bisogno di essere d’accordo con lui per apprezzare un contributo diverso dal solito alla discussione, considerando che non è l’unico a pensare questo in America ma forse l’unico a scriverlo pubblicamente.

Per Schrader, che non nasconde di non essere mai riuscito a farsi produrre un film da Roger Corman, anche quando ne aveva bisogno, il suo modo di fare era sfruttamento ma non nel senso di “exploitation” (sfruttamento dei generi o di luoghi comuni di successo) quanto proprio di cineasti. Noi consideriamo sempre quei filmacci come un trampolino di lancio per gente come Scorsese (e lo sono stati) ma da un altro punto di vista sono state opere a costo zero, affidate alle persone che costano meno (chi ha bisogno di esordire), girate con poca autonomia e senza dare mai a loro i mezzi di cui avrebbero avuto bisogno. Un cineasta esperto oltre a costare di più si lamenta di più, uno che ha bisogno di fare quel film si lamenta meno e accetta qualsiasi cosa.

ron howard roger corman
Quella pazza Rolls Royce di Ron Howard

È molto famosa la frase che Corman disse a Ron Howard quando, nel preparare Attenti a quella pazza Rolls Royce, si lamentava di non avere comparse a sufficienza: “Vedrai che se fai un buon lavoro per me come dico io, non dovrai più lavorare con me”. Non era un posto di lavoro ideale, e non aveva in progetto di diventarlo. Schrader dice che i suoi coevi (Coppola, Scorsese, Cameron Demme….) non appena hanno potuto sono fuggiti dalla AIP o dalle altre società con le quali Corman produceva, per andare a fare altro e meglio (è implicito). Insomma che era un cialtrone con cui si lavorava male e a cui non interessava fare bei film.

Dei suoi film, cioè di quelli diretti da Roger Corman, solo un pugno sono ad oggi ritenuti valevoli, i noti adattamenti di Poe con Vincent Price, i restanti sono in molti casi molto più noti per i titoli che per la bontà. Anno 2000 – La corsa della morte, uno dei primi ruoli di spicco per Sylvester Stallone, è terribile da ogni punto di vista e non sono certo migliori i film con Jack Nicholson prodotti da Corman (poco meno di 10!). E questo senza considerare l’incredibile mole di film prodotti da Corman (sui più di 400 totali) in cui non esordisce nessuno poi destinato a grandi cose ma sono solo filmacci di serie C che non ispirano nessuno, non cambiano niente e non aggiungono nulla. Parliamo di diverse centinaia di film di questo tipo.

stallone corman
Anno 2000 – La corsa della morte

Il punto di Paul Schrader non è campato in aria anche se lui lo esprime (come sempre) con la scorbutica aria dell’anziano che si lamenta dei tempi che corrono. L’eredità di Corman non è semplice da gestire se la si guarda con una lente obiettiva. Certo i suoi erano film che incassavano più di quello che costavano, e senza di lui difficilmente Jason Blum avrebbe potuto mettere a punto i suoi metodi di lavoro, erano film che avevano un loro pubblico ed erano film vitali, fatti di tutto ciò che piace senza impegnare (sesso, corpi femminili nudi, spaventi, mostri, battutacce e azione) e di cui spesso sentiamo la mancanza. 

E certo è impossibile non apprezzare se non proprio ammirare la maniera in cui ha navigato un mondo difficile come la produzione cinematografica americana senza avere l’appoggio degli studios e senza aiuti economici. Senza contare la mole di aneddoti incredibili al centro dei quali c’è Roger Corman stesso. Ma un conto è ammirarne il mestiere o la scaltrezza, un altro è amarne il cinema. Per amare quel cinema bisognerebbe almeno averlo visto, invece i film di Corman sono i tipici film di cui si parla senza averli visti, se ne parla per quello che rappresentano più che per quello che sono. E che quando li si vede si rimane forse un po’ delusi.

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