Diventa la versione migliore di te stesso”, è una delle frasi più fastidiose e usate dai motivatori social (e non). Contiene, in bella vista, la promessa che ci siano molte alternative e che tu, in quel momento, stai percorrendo quella sbagliata. In Everything Everywhere all at Once, uno dei film più significativi dell’anno di cinema appena trascorso, una versione migliore non esiste. Ci sono vie più felici, scelte che portano a drammi, altre ad acquisire una forza inaspettata. Però le infinite possibilità date dall’universo ci ricordano solamente quanto, anche quando siamo al massimo, siamo trascurabili. È il multiverso, bellezza. Lo strumento narrativo che ha tenuto banco nel 2022 e che è qui per restare.

Non chiamatelo moda. Il multiverso è semmai una logica conseguenza di un percorso di disillusione che parte da molto lontano. Alle porte del nuovo secolo, con l’esplosione digitale e dei testi interconnessi, linkati tra di loro, i narratori ammettevano quello che già da tempo sentivano. Tutte le storie possibili sono già state raccontate. Si può cambiare qualche dettaglio, le ambientazioni, il tono, ma tutte le trame sono già state esplorate. Per di più, mentre il confortante e sconsolato concetto di remake si faceva piede nell’audiovisivo, internet offriva la quasi totale reperibilità di queste storie. La morte dell’originalità.

La soluzione a questo angosciante assunto fu la citazione. Tarantino diventò il simbolo filosofico di un’epoca di mashup. Se non si possono più eguagliare i capolavori classici, si possono almeno rimescolare per creare qualcosa di finalmente nuovo. Ma non bastava. Il pubblico poteva diventare una comunità di pensiero efficacissima, poteva decifrare i codici, svelare i calchi, riconoscere gli omaggi. Allora la sfida diventò diretta. Un noir lineare come Memento perdeva la successione cronologica. Erano i film puzzle. Quelli da risolvere ma soprattutto che potevano venire vissuti diversamente sulla base delle precedenti esperienze culturali del pubblico.

Non bastò. Un film di due ore era una tela troppo piccola. L’epoca d’oro della serialità aveva dimostrato la fedeltà dell’audience, capace di seguire per anni un racconto, di sviscerarlo e conoscerlo meglio degli autori stessi. Così anche al cinema i franchise iniziarono ad espandersi in continuità. Il più significativo fu James Bond, i cui seguiti erano bene o male prodotti autonomi l’uno dall’altro, ora si sommavano con conseguenze permanenti. Ogni ferita resta sul corpo di chi la subisce. Artefice di tutto questo, principale motore ed esempio di quanto si poteva osare fu, ovviamente, la Marvel. Lo studio che più di altri sta tentando di rilanciare le sue storie nella direzione del multiverso.

Multiverso Spider-Man No Way Home

In questa linea temporale il multiverso non è niente di nuovo

Il multiverso è stato oggetto di un interessante editoriale di CNN Style. Non serve chissà che approfondimento per notare la sua prevalenza nelle forme narrative. Basta accorgersene guardando i primi posti del box office. Si sarebbe potuto prevedere? Certamente!

Perché quando si è introdotto il concetto di world building, cioè una prevalenza dell’ambiente persino sui personaggi, ci si è trovati di fronte a una logica conseguenza. Batman poteva cambiare attore, stile di combattimento, costume. Ma ci sono alcuni segnalatori base che lo rendono quello che è. Non può esistere senza Gotham, intesa come la componente supereroistica, corrotta, di fantasia che porta con sé una serie di assunti sulla filosofia tipica del personaggio. Possono esistere tanti Spider-Men, ma uno di questi senza un lutto alle spalle, senza un’angoscia derivante dai suoi poteri, sembrerebbe un tradimento dello spirito. Un falso insomma.

I mondi non si possono espandere più di tanto, se non a costo di perdere coerenza o diventare inevitabilmente noiosi, già visti o difficilissimi da seguire (un esempio lampante è il complesso Star Wars). I personaggi hanno però bisogno di poco per restare fedeli a se stessi. Il fumetto l’ha capito prima di tutti: dati per veri questi assunti, si può allora esportare la stessa formula a un’infinità di mondi diversi. Variazioni che rinfrescano i franchise, tolgono il fardello della continuità, e li adattano alle nuove generazioni. Come farlo? Prendendo la fisica teorica e dando per assodata l’esistenza di molteplici universi.

Il multiverso è un concetto ombrello, un po’ come il viaggio nel tempo. Vuol dire tutto e niente. Così In Everything Everywhere alla at Once le regole che lo governano sono diverse da quelle dei Marvel Studios. Ipotizziamo che anche la DC Comics con The Flash, che dovrebbe affrontare anche lui il tema, stilerà un libretto delle istruzioni originale, e così via.

Ma se il multiverso ha già stufato…

… Come potrà restare? Bella domanda. È evidente a tutti che abbiamo appena grattato la superficie di quello che si può fare. Che siano sliding doors o dimensioni alternative non consequenziali il multiverso è un foglio nuovo nelle mani dei narratori. Nel già citato articolo di Thomas Page si riportano i virgolettati di coloro che stanno più sperimentando con questa forma. I Daniels, Waldron, Lord e Miller, sono autori che prima si sono leccati i baffi pensando a quello che possono fare con il multiverso, e poi l’hanno fatto.

Sanno bene però che un’abbuffata potrebbe essere fatale. Christopher Miller ha detto che si è sempre usato il multiverso (cita ad esempio Il mistero della piramide, la comica con Abbot e Costello), me è ora che si fanno veramente i soldi. Bisogna stare attenti, infatti il loro Spider-Verse è stato delineato non senza qualche timore.

Secondo Miller: “Giocare nel campo dell’infinito non è soddisfacente come seguire una storia che ha un inizio, una parte centrale e una fine”. Lo stesso problema evidenziato da Daniel Scheinert. Infinite possibilità e infiniti universi sono l’esatto contrario della narrazione, che è scelta e confine. Se per ogni scelta ne esiste anche un’altra che può essere esplorata, tutto rischia di annacquarsi, diventa frustrante per il pubblico che perderà ogni connessione. Se tutto può accadere, nulla ha veramente importanza.

Allora il multiverso dovrà diventare un immenso spazio confinato. C’è solo l’illusione di infinito. I limiti ricadono ancora nelle strutture del racconto, plasmate in millenni di storie, che si credevano superate. 

Multiverso The Flash

L’effetto nostalgia al box office

Siamo in un periodo storico emotivamente propenso al rimorso. I prodotti di intrattenimento stanno seguendo un’ondata di nostalgia parallela alla crescita del pubblico. Sembrava ieri che rimpiangevamo gli anni ’80, eppure siamo già arrivati a rilanciare i ’90.

Il multiverso è la manna della nostalgia. Perché non solo può andare ad attingere praticamente ovunque, ma può rendere canone tutto e attirare contemporaneamente generazioni diverse mantenendo la coerenza narrativa. Lo farà probabilmente The Flash, l’ha fatto Spider-Man, ma non l’ha fatto Doctor Strange concentrandosi invece su un mash-up più duro che sembra aver deluso parte del pubblico generalista. 

Nonostante tecnicamente Ready Player One non tratti il multiverso, Oasis è molto simile a un battleworld. Cioè un mondo composto da pezzi di altri universi, ideato nei fumetti Marvel. Lì i franchise collidono. È significativo che il primo a farlo sia stato proprio Steven Spielberg uno che conosce bene le regole dell’intrattenimento audiovisivo, avendo contribuito a crearle. 

Per non perdersi nelle infinite possibilità serve una costante. Ieri come oggi sono ancora i personaggi, i loro drammi e ciò che cambia lungo il percorso. No Way Home non ha buttato di fronte allo Spider-Man dell’MCU due versioni alternative a caso. Sono invece ben conosciuti, e amati, dal pubblico. Anche quando il multiverso diventa creativo, fa nascere nuovi personaggi, non si può sfuggire alla cura che ognuno di questi richiede. 

Per cambiare tutto, in questo caso, bisogna non cambiare niente del passato e moltiplicarlo esponenzialmente su tutte le pieghe di questo universo espanso.

Kevin Feige ha annunciato la conclusione della saga multiversale con Avengers: Secret Wars. Ma il multiverso non sembra destinato ad avere fine a breve. Riusciranno allora i narratori a renderlo la versione migliore di se stesso?

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